Tempo reale: la luce e il corpo moltiplicato
Due eventi per Maggio Elettrico al Teatro del Maggio di Firenze, con un'installazione da Giuseppe Chiari e la performer Carola Schaal
Forse non è casuale che Tempo Reale abbia scelto di affiancare, per i due appuntamenti di Maggio Elettrico, una performer tedesca all’opera di un artista italiano esponente del gruppo Fluxus. Il movimento, transnazionale, anarchico e multimediale, nasce infatti in Germania nel 1962 (anche se covi di sovversione artistica e musicale erano già attivi a New York con Yoko Ono e George Maciunas). Comunità internazionale di indefinibili provocatori, che molto devono a John Cage e Marcel Duchamp, che ha scombinato le carte dell’arte ma anche della vita, riconoscendole sovrapponibili.
Tempo Reale 2019: Borderscape
Carola Schaal, in un lungo vestito bianco, non è una fluxer ma fa proprie alcune poetiche comunicative care al movimento. Performance multimediale, caratterizzata anche da una marcata percezione di ambiguità – come ha sottolineato Francesco Giomi nell’introduzione – che assembla quattro composizioni(?) mischiando suono, voce, video, gesto, live electronics e luci (le riportiamo dettagliate nelle note).
La Schaal esplora con il corpo lo spazio, i legni della splendida Sala Orchestra, ma anche il pubblico presente, si siede con noi, ci guarda negli occhi, ci sfiora, si deforma il viso con le mani, cerca posture inusuali. Usa il clarinetto, il suo strumento, come oggetto, pura forma, vessillo, mai lo suona.
Un video scorre (natura, pioggia, una chitarra trascinata…) a volte si sentono voci lontane che poi sfumano. Protagonista principe il silenzio. Silenzio violentato poco dopo dalla chitarra elettrica estrema usata in modo anticonvenzionale dalla Schaal, dalla sua voce aggressiva, dai sensori che la performer ha posizionati addosso, suoni che il live electronics (bravissimi Giovanni Magaglio e Damiano Meacci) carpisce, modifica e rigetta in un contesto ribollente. L’artista tedesca, questa volta in una aderente tuta bianca, si pone poi davanti allo schermo e da vita, rapportandosi al video che scorre su di lei, al momento più coinvolgente. Il suo corpo si moltiplica, si deforma, si smaterializza, evapora, scompare, riappare, un viaggio tra esistenza/visibilità, invisibilità/inesistenza immerso in un alto contesto tecnologico-emotivo. Pur con qualche dubbio per una eccessiva accumulazione di materiali e relativa gestione, come su alcuni aspetti non proprio innovativi della performance la Schaal è comunque testimone di una ricerca che prefigurando una costante tensione tra corpo-gesto-suono e tecnologia sperimenta linguaggi possibili.
Se la performer tedesca probabilmente eccede nell’implicazioni di materiali, Giuseppe Chiari con La Luce (1966) è fin troppo schematico. Le sue indicazioni in un continuum silenzio/buio, rumore/buio, silenzio/luce, rumore/luce si chiudono nell’ultima riga con La luce. É come sintetizzare: la poesia necessita di pochi elementi, basta saperli usare.
Ci prova, possiamo dire convincendo, Tempo Reale in una elaborazione-rilettura “Installazione audiovisiva da una partitura del 1966” che azzecca subito la scelta dello spazio, la piccola Sala Bartoletti che se costringe a frazionare il pubblico in molti turni di accesso, garantisce una fruizione-concentrazione straordinaria (per non parlare della scoperta dei meandri più fascinosi del Teatro del Maggio). Una specie di scrigno magico dove silenzio e buio ti accolgono come premessa indispensabile. Da quel silenzio, da quel buio denso, altoparlanti e sorgenti luminose alternano, sviluppano suoni e luci come in una sinfonia, una drammaturgia con le sue accelerazioni ritmiche, i piano, i fortissimi, i quasi silenzio. Il sottofondo sonoro mobile e scuro viene attraversato, illuminato da lampi elettrici con schiocchi secchi, che alternandosi in punti diverso dello spazio ti confondono, disorientano la percezione, contemporaneamente disegnano forme.
Il percorso artistico di Chiari ha sempre messo in discussione, con l’originalità nel coniugare il discorso musicale con quello visivo, un’arte legata a convenzioni e regole. Ha usato una libertà sfrenata, immersa in una vitale dimensione sperimentale, per tracciare strategie di comunicazione e creazione che partono dal futurismo per poi aderire, in piena filosofia Fluxus, all’arte come vita. La Luce ancora oggi ne è esempio sorprendentemente emblematico.
11 maggio - Sala Orchestra
Carola Schaal: clarinetto, voce performance / Heinrich Horwitz coreografia /Giovanni Magaglio, Damiano Meacci live electronics
C.Schaal- H.Horwitz, Silent Posts.-A.29, about needs (2018) per performer e video
Alexander Schubert Your Fox’s a Dirty Gold (2011) per un performer con voce, sensori, chitarra elettrica, live electronics e luci
C.Schaal Silent Posts-A.6, Ruth (2017) video
Brigitta Muntendorf #AspresentAsPossible-solo (2018) per un performer con voce, nastro e video
12 maggio - Sala Bruno Bartoletti
Chiari-Tempo Reale
Giuseppe Chiari, La Luce - installazione audiovisiva da una partitura del 1966
Progetto sonoro luminoso: Agnese Banti, Francesco Giomi
Tecnica: Francesco Canavese, Leonardo Rubboli
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