Sedurre, e poi distruggere
Un macabro grand-guignol tra crimini, stupri e corruzione. La Lulu di Berg, per la regia di Martone e diretta da Reck, ha inaugurato la stagione del Teatro Massimo. Ottimo il cast.
Recensione
classica
Come già Venezia nel '90, Palermo inaugura la propria stagione lirica con una nuova produzione di Lulu di Alban Berg; ma, controcorrente, è stata scelta la versione in due atti, con una diversa soluzione per il finale. Un secondo film (oltre a quello già previsto nel secondo atto) accompagnato dalle Variazioni e l'Adagio dalla Lulu-Suite e dal canto finale della contessa Geschwitz. Soluzione forse discutibile dal punto di vista musicologico, ma funzionale sul piano drammaturgico. Il Novecento si addice all'orchestra del Teatro Massimo; dopo un superbo Wozzeck di due anni fa, questa Lulu ha messo in luce una compagine compatta, di eccezionale nitore nei tanti "a solo" di cui è disseminata la partitura. Merito anche della concertazione di Stefan Anton Reck, lucido conduttore di quell'Hauptrhytmus che attraversa tutta l'opera, legato all'idea di morte e di destino. Reck ha dominato quella che Boulez chiama "la manipolazione dei tempi", che illustra i momenti topici dell'opera. Compagnia di canto efficace: Jürgen Linn, Ian Storey, Theo Adam, Claude Pia, tra i tanti protagonisti maschili; eccellente Doris Soffel quale Contessa Geschwitz. Occasione mancata, invece, per la Lulu di Anat Efraty, dotata di buona tecnica ma di uno strumento fragile e di una figura scenica insufficiente a rendere una divoratrice d'uomini, una bestia selvaggia in cui emergeva più l'innocenza e l'incoscienza che la perversione. Colpa forse del regista, Mario Martone, che l'ha resa più simile ad un Gianburrasca (le uniche "trasgressioni" di Lulu erano saltar su tavoli e sgabelli) e a Sandie Shaw (per quel suo irrefrenabile bisogno di star a piedi nudi). L'impianto scenico, suggestivo, firmato da Sergio Tramonti, faceva perno su un grande specchio "piuma", che rifletteva squarci delle pareti del teatro stesso o lasciava trasparire un'orchestrina jazz. Spazi teatrali che tornavano nei due momenti filmici, dove il Martone-regista cinematografico mostrava maggior maestria del Martone-regista d'opera. I costumi di Crepax (sottane a parte) ricreavano sin troppo descrittivamente un ambiente borghese fin-de-siécle.
Note: nuovo all.
Interpreti: Efraty/Valente, Soffel/Pinter, Linn/Owen, Storey/Mühle, Di Cesare, Pia/Scharnke, Minarelli/Sidorova, Kennedy/Blees, Adam/Waller, Schwanbeck
Regia: Mario Martone
Scene: Sergio Tramonti
Costumi: Guido Crepax
Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo
Direttore: Stefan Anton Reck
Coro: Coro del Teatro Massimo
Maestro Coro: Franco Monego
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