Salome e l'agnello sacrificale
Scala: Salome in streaming con la regia ricca di simboli di Damiano Michieletto e l'ottima direzione di Chailly
Era destino che Riccardo Chailly dovesse dirigere Salome con la regia di Damiano Michieletto. Aveva iniziato le prove un anno fa prima dell'intensificarsi del pandemia, in seguito aveva passato la bacchetta a Zubin Mehta che pochi giorni giorni fa ha dovuto rinunciare per problemi di salute, per fortuna superati, ma con l'obbligo di riposarsi. E quindi ecco Chailly tornare sul podio dell'opera di Strauss, prima nuova produzione scaligera in epoca Covid. Nel frattempo anche la messa in scena ha subìto modifiche per via dei distanziamenti e delle riprese video che mutano i rapporti spaziali e impongono la massima attenzione a evitare smorfie dei cantanti. Alla fine di queste turbative, lo spettacolo è stato registrato e poi trasmesso su Rai 5 con la brava Elena Stikhina nel ruolo della protagonista, la migliore del cast formato da Gerhard Siegel, Linda Watson (Herodias), Wolfgang Koch (parecchio in carne per la magrezza del consunto Jochanaan), Attilio Glaser (Narraboth) e Liona Braun nei panni en travesti del Paggio, qui trasformato in una houskeeper che conosce la storia della famigliaccia. Una presenza che diventa un memento intrigante, lei non ci parla e anche quando non canta noi sappiamo che lei sa. Le altre variazioni sul tema inventate da Micheletto spesso si riducono però a immagini didascaliche, come il temuto battito di ali cui accenna Herodes che diventa una ingombrante coreografia di comparse in slip e ali nere o la citazione della luna che si materializza in una palla nera gigante. Mentre altre situazioni sembrano servire da "istruzioni per l'uso", il più delle volte ridondanti e gratuite in un'opera che non ne ha bisogno perché colpisce di per sé il bersaglio. In scena compare talvolta Salome bambina, con bambolotto e padre amorevole, probabilmente eliminato dalla moglie per potersi accoppiare col cognato, come succede in Amleto. Il che insinua anche il sospetto di abusi da parte del patrigno. Jochanaan emerge dalla cisterna-prigione con un cadavere di agnello sacrificale su cui gli angeli della morte versano un calice di sangue, forse a simboleggiare l'esecuzione del padre di Salome. Durante il dibattito teologico gli Ebrei e Nazareni nella foga si spogliano e rimangono in canottiera, ma è difficile capirne il motivo. Più elaborata la sempre problematica Danza dei Sette Veli, qui viene introdotta da Salome bambina che porta al patrigno una maschera, appena lui se la mette sul volto, subito compaiono altri sei suoi doppi che si liberano subito della giacca per sballottarsi Salome adulta, in una sorta di orgia psicoanalitica, che si conclude col vestito bianco e cordoni rosso sangue della protagonista issato al soffitto. A simboleggiare la deflorazione? L'elenco delle situazioni da decriptare sarebbe lungo, non ci stupiremmo che entrassero in scena anche Lulu e Jack lo Squartatore perché Michieletto è in quel mondo che vuole attirarci, lasciando perdere lo spleen di Dorian Grey, che pure esiste alla corte di Herodes. Di tutto lo spettacolo c'è però un momento che toglie il respiro, ovviamente anche per merito di Strauss. Dopo che è emersa dalla cisterna la testa di Jochanaan con raggiera, tranquillizzante citazione del quadro di Moreau, il finale avviene con Salome sola in scena e sullo sfondo gli angeli della morte e a quel punto non abbiamo più scampo dall'emozione.
Tutt'altro discorso merita invece la direzione di Riccardo Chailly con l'immensa orchestra in platea, vera felice sorpresa di questa edizione, perché il suo è uno Strauss aspro compositore del Novecento. Per quanto possa darne ragione l'impianto hi-fi collegato al televisore, è stata percepibile una continua tensione quasi isterica di sonorità acide, strazianti (anche i momenti di abbandono sono risultati di una durezza disperata) e questa scelta del direttore ha coinvolto le voci tutte. Dando una compatta coralità alla tragedia.
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