In ricordo di Roberto Pagano (1930-2015)
Addio allo studioso di Scarlatti
Recensione
classica
La notizia della scomparsa di Roberto Pagano, nella notte tra il 12 e il 13 luglio nella sua casa di Palermo, mi ha colpito particolarmente, non solo per l’affettuosa amicizia di trent’anni e la stima per il suo lavoro ma soprattutto perché si tratta di una personalità unica ed insostituibile nel sempre più gretto e spaventato panorama culturale italiano. Triste constatare che nell’era digitale su di lui non esiste quasi nulla “in rete”. Devo ad Anna Tedesco, musicologa dell’Università di Palermo e vicepresidente dell’associazione Amici del Teatro Massimo, la ricostruzione biografica che qui riassumo, necessaria per comprenderne la personalità. Roberto era nato a Palermo il 4 novembre del 1930: avrebbe dunque compiuto tra qualche mese 85 anni.
Una vita intensa svolta interamente nella sua Sicilia al servizio della musica e della cultura. Dopo il diploma di pianoforte al Conservatorio di Palermo Pagano iniziò la sua carriera nello stesso istituto come docente di storia della musica e bibliotecario dal 1959 al 1970 e dal 1964, anche di clavicembalo, una delle prime cattedre in Italia, che poi ricoprì fino al 1992. Fedele D’Amico lo volle all’Università di Catania come incaricato di storia della musica dal 1970, sede che abbandonò a malincuore diversi anni più tardi. Era intanto cresciuta la mole di lavoro artistico ed organizzativo per l’incarico che ha più condizionato l’impegno pubblico di Roberto Pagano: la sua nomina a direttore artistico dell’ Orchestra Sinfonica Siciliana per quasi trent’anni, dal 1969 al 1995. I suoi programmi hanno coinvolto ed entusiasmato generazioni di siciliani che hanno potuto conoscere un repertorio sconfinato e spesso unico in Italia, dai compositori del barocco alle avanguardie del Novecento. Tanti sono stati i protagonisti della musica del suo tempo che Pagano invitò a Palermo inserendo la città nei maggiori circuiti internazionali. Di alcuni di loro divenne amico personale, per esempio Frank Martin, Krzysztof Penderecki e soprattutto Igor Stravinskij, raccontandone gustosi aneddoti.
Il suo impegno per la musica contemporanea era nato col Gruppo Universitario Nuova Musica, che aveva cofondato e presieduto, ed aveva contribuito al debutto di compositori siciliani poi affermatisi a livello internazionale, come Incardona e Betta. Palermo a quei tempi era un cantiere straordinario per la musica del Novecento, intorno all’Istituto di Musicologia dell’Università voluto da Rognoni e poi animato da Paolo Emilio Carapezza e Antonino Titone. Ma nello stesso ambiente si stava creando il complementare interesse per la musica antica che avrebbe portato la città ad un ruolo chiave anche nell’Early Music Revival. Ed anche in questo settore l’apporto di Pagano fu fondamentale, con programmi inusuali, che spesso univano pagine antiche e contemporanee. Non meno importanti furono le più concise esperienze di direzione dell’Estate Musicale di Taormina, della Settimana di Musica Sacra di Monreale, e anche del Teatro Massimo di Palermo dove per quattro anni riuscì a realizzare il suo sogno di un Festival Scarlatti, purtroppo interrotto quando aveva cominciato a dare i frutti più prelibati. Anche questa frustrazione contribuì ad una crescente insoddisfazione che ha amareggiato non poco i suoi ultimi anni, solo in parte mitigata dal prestigioso premio ricevuto nel maggio 2014 dagli Amici del Teatro Massimo. Infatti, alla constatazione del degrado delle istituzioni culturali alle quali aveva legato le sue migliori energie creative di organizzatore, si era sovrapposta nel tempo una accesa polemica sulla sua attività di storico della musica (non amava la parola “musicologo” e per questo non la userò per lui).
Al centro di questo dibattito durato quasi tre decenni non poteva naturalmente esserci alcun dubbio sulla qualità delle sue pubblicazioni (dalla prima biografia di Alessandro Scarlatti per la Eri nel 1972 al celebre “Scarlatti Alessandro e Domenico: due vite in una” del 1985 e una serie di fondamentali articoli), ma alcuni “musicologi” avevano avversato l’atteggiamento da autentico scrittore, colto e aristocratico, di Pagano nel raccontare la vita degli Scarlatti padre e figlio inquadrandoli nella mentalità della società siciliana e meridionale: “romance biography” lo aveva definito per esempio Dean Sutcliffe, studioso neozelandese al quale Roberto non perdonò mai di aver appoggiato la demolizione del ruolo pionieristico di Ralph Kirkpatrick, da lui invece fortemente difeso fin dalla prima edizione italiana del classico Domenico Scarlatti, che riuscì a far pubblicare nel 1984 nella traduzione di Mariacarla Martino. Kirkpatrick fu anche uno dei temi forti che favorì un forte legame di amicizia tra Pagano e Frederick Hammond, già allievo del pioniere del clavicembalo poi divenuto il massimo esperto di Frescobaldi. Lo studioso americano fu l’artefice della traduzione inglese di “Two lives in one” nel 2006, che assicurò al testo una diffusione planetaria. Nel pieno della polemica Roberto si avventurò a pubblicare una serie di interventi a puntate sulla rivista del Conservatorio dell’Aquila “Music@” allora diretta da Pietro Acquafredda che intitolò provocatoriamente “Amarcord Scarlattiano. Romanzo di un romanzo” (a partire dal 2010): la segnalo perché, al di là dei tanti sassolini tolti e lanciati con penna di fuoco, queste pagine si possono leggere come un avvio di una autobiografia di Pagano che purtroppo lui non pensò mai di scrivere. Sarebbe stata una miniera di storie e di ritratti corrispondente alla sua intensa e fruttuosa vita, vissuta tutta nell’isola, come Lampedusa, Sciascia e tanti altri suoi predecessori. La nuova edizione italiana, rivista e accresciuta, di "Due vite in una” è in corso di pubblicazione per la Lim di Lucca, grazie anche all’intervento dell’Istituto italiano per la storia della musica presieduto da Agostino Ziino – altro siciliano e amico di sempre di Pagano –: sarà questo il monumento lasciato ai posteri dall’atipico studioso e intellettuale palermitano, tra i pochi ad aver compreso che la storia della musica può essere un’opera di scrittura appassionante ed attrattiva, come la vita.
Una vita intensa svolta interamente nella sua Sicilia al servizio della musica e della cultura. Dopo il diploma di pianoforte al Conservatorio di Palermo Pagano iniziò la sua carriera nello stesso istituto come docente di storia della musica e bibliotecario dal 1959 al 1970 e dal 1964, anche di clavicembalo, una delle prime cattedre in Italia, che poi ricoprì fino al 1992. Fedele D’Amico lo volle all’Università di Catania come incaricato di storia della musica dal 1970, sede che abbandonò a malincuore diversi anni più tardi. Era intanto cresciuta la mole di lavoro artistico ed organizzativo per l’incarico che ha più condizionato l’impegno pubblico di Roberto Pagano: la sua nomina a direttore artistico dell’ Orchestra Sinfonica Siciliana per quasi trent’anni, dal 1969 al 1995. I suoi programmi hanno coinvolto ed entusiasmato generazioni di siciliani che hanno potuto conoscere un repertorio sconfinato e spesso unico in Italia, dai compositori del barocco alle avanguardie del Novecento. Tanti sono stati i protagonisti della musica del suo tempo che Pagano invitò a Palermo inserendo la città nei maggiori circuiti internazionali. Di alcuni di loro divenne amico personale, per esempio Frank Martin, Krzysztof Penderecki e soprattutto Igor Stravinskij, raccontandone gustosi aneddoti.
Il suo impegno per la musica contemporanea era nato col Gruppo Universitario Nuova Musica, che aveva cofondato e presieduto, ed aveva contribuito al debutto di compositori siciliani poi affermatisi a livello internazionale, come Incardona e Betta. Palermo a quei tempi era un cantiere straordinario per la musica del Novecento, intorno all’Istituto di Musicologia dell’Università voluto da Rognoni e poi animato da Paolo Emilio Carapezza e Antonino Titone. Ma nello stesso ambiente si stava creando il complementare interesse per la musica antica che avrebbe portato la città ad un ruolo chiave anche nell’Early Music Revival. Ed anche in questo settore l’apporto di Pagano fu fondamentale, con programmi inusuali, che spesso univano pagine antiche e contemporanee. Non meno importanti furono le più concise esperienze di direzione dell’Estate Musicale di Taormina, della Settimana di Musica Sacra di Monreale, e anche del Teatro Massimo di Palermo dove per quattro anni riuscì a realizzare il suo sogno di un Festival Scarlatti, purtroppo interrotto quando aveva cominciato a dare i frutti più prelibati. Anche questa frustrazione contribuì ad una crescente insoddisfazione che ha amareggiato non poco i suoi ultimi anni, solo in parte mitigata dal prestigioso premio ricevuto nel maggio 2014 dagli Amici del Teatro Massimo. Infatti, alla constatazione del degrado delle istituzioni culturali alle quali aveva legato le sue migliori energie creative di organizzatore, si era sovrapposta nel tempo una accesa polemica sulla sua attività di storico della musica (non amava la parola “musicologo” e per questo non la userò per lui).
Al centro di questo dibattito durato quasi tre decenni non poteva naturalmente esserci alcun dubbio sulla qualità delle sue pubblicazioni (dalla prima biografia di Alessandro Scarlatti per la Eri nel 1972 al celebre “Scarlatti Alessandro e Domenico: due vite in una” del 1985 e una serie di fondamentali articoli), ma alcuni “musicologi” avevano avversato l’atteggiamento da autentico scrittore, colto e aristocratico, di Pagano nel raccontare la vita degli Scarlatti padre e figlio inquadrandoli nella mentalità della società siciliana e meridionale: “romance biography” lo aveva definito per esempio Dean Sutcliffe, studioso neozelandese al quale Roberto non perdonò mai di aver appoggiato la demolizione del ruolo pionieristico di Ralph Kirkpatrick, da lui invece fortemente difeso fin dalla prima edizione italiana del classico Domenico Scarlatti, che riuscì a far pubblicare nel 1984 nella traduzione di Mariacarla Martino. Kirkpatrick fu anche uno dei temi forti che favorì un forte legame di amicizia tra Pagano e Frederick Hammond, già allievo del pioniere del clavicembalo poi divenuto il massimo esperto di Frescobaldi. Lo studioso americano fu l’artefice della traduzione inglese di “Two lives in one” nel 2006, che assicurò al testo una diffusione planetaria. Nel pieno della polemica Roberto si avventurò a pubblicare una serie di interventi a puntate sulla rivista del Conservatorio dell’Aquila “Music@” allora diretta da Pietro Acquafredda che intitolò provocatoriamente “Amarcord Scarlattiano. Romanzo di un romanzo” (a partire dal 2010): la segnalo perché, al di là dei tanti sassolini tolti e lanciati con penna di fuoco, queste pagine si possono leggere come un avvio di una autobiografia di Pagano che purtroppo lui non pensò mai di scrivere. Sarebbe stata una miniera di storie e di ritratti corrispondente alla sua intensa e fruttuosa vita, vissuta tutta nell’isola, come Lampedusa, Sciascia e tanti altri suoi predecessori. La nuova edizione italiana, rivista e accresciuta, di "Due vite in una” è in corso di pubblicazione per la Lim di Lucca, grazie anche all’intervento dell’Istituto italiano per la storia della musica presieduto da Agostino Ziino – altro siciliano e amico di sempre di Pagano –: sarà questo il monumento lasciato ai posteri dall’atipico studioso e intellettuale palermitano, tra i pochi ad aver compreso che la storia della musica può essere un’opera di scrittura appassionante ed attrattiva, come la vita.
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