Un anno dopo il suo arrivo a Berlino, in qualità di Generalmusikdirektor dei teatri regi, Spontini licenzia la sua prima partitura per le scene tedesche... ma si tratta di scene particolarissime, perché consistono nei palazzi dei principi prussiani che festeggiavano la visita berlinese del Granduca (futuro Zar) Nicola e consorte. "Lalla Rukh" è dunque un Festspiel, una festa teatrale aristocratica (i nobili della città vi parteciparono in massa quali figuranti dei quadri mimici) nella quale la musica è uno degli elementi spettacolari, e si combina più in successione che in sovrapposizione con quelli verbali-recitati e mimico-visivi. Lo spettacolo fu in effetti ideato dall'allora Sovrintendente dei teatri, conte Bruehl, nella forma drammaturgica del racconto di racconto: un racconto cornice che ne inquadra altri quattro (tutti di ambientazione arabo-indiana), alla maniera delle "Mille e una notte", il tutto attinto da un best-seller romantico dell'epoca del dublinese Thomas Moore.
Della musica di Spontini, ci rimane lo spartito canto e piano che conserva dieci numeri chiusi, sei vocali (uno vocalizzato, senza testo) e quattro strumentali, nei quali il compositore non disdegna autoimprestiti di temi o interi brani: è per questo che è possibile ascoltare, nella Marcia iniziale, una citazione neppure tanto velata della Marsigliese (in un ambiente prussiano vieppiù nazionalista!), essendo il pezzo preso di peso dal suo Pélage. Il Festival Pergolesi-Spontini si dev'essere chiesto: come ricreare quella drammaturgia, attorno al testo musicale spontiniano, essendo non più proponibili contesto e destinazione sociali, ma al più lo scheletro narrativo che è attesto da didascalie pubblicate ad integrazione dello spartito? La risposta: affidarsi ad Aldo Busi per la tessitura del testo recitato, travestito modernamente e fiabizzato in forme di monologo o di dialogo tra i protagonisti del racconto-cornice in quella maniera deliziosamente impertinente che Busi sa percorrere inimitabilmente. Affidare poi ad Azio Corghi la riscrittura sinfonica del canto e piano, conoscendo evidentemente i suoi lavori precedenti su Rossini etc.
Le scelte indirizzavano sin dall'inizio verso una drammaturgia sghemba, nella quale le proporzioni temporali e relazionali degli elementi avevano un ché di asimmetrico in partenza: e, da questo punto di vista, la realizzazione ha tenuto fede al progetto, dimostrando una sua cifra specifica. A partire dal testo, ma ancor più dalla presenza scenica, di Busi, che ha retto in forma quasi esclusiva le dimensioni più performative della drammaturgia, ma non solo: il testo aveva le sue accensioni più profonde quando toccava l'immancabile sfera del rovesciarsi fiabesco della realtà nell'invenzione, ovvero nella verità artistica della falsificazione narrativa... e ha fatto da sponda efficace con l'operazione "vero-falso" (o viceversa) di Corghi: le strutture della musica spontiniana erano quelle tipiche, assai quadrate e sostanziate dal passaggio tra due epoche storiche, ma la nuova veste strumentale vi inseriva angoli, spigoli, altri piani di scorrimento snidandoli nelle linee musicali, o sovrapponendoli non senza ironia; l'utilizzo dei fiati parodiava a volte la Militaermusik così permeante la musica spontiniana, torcendone le forme intervallari ed i timbri bandistici. Il piglio della scrittura di trascrizioni-travestimenti restava comunque genuinamente sinfonico, ma appunto con una sua personalissima sghembezza, e si controbilanciava con introduzione e commenti alle storie nei quali la scrittura usata da Corghi non ha nulla del calco: in quei punti ricombina trasformazioni dei temi con l'obiettivo di disegnare un percorso drammaturgico-musicale centrato sulla figura della narrante Guancia di Tulipano, promessa sposa cui il lieto fine fiabesco consente di sintetizzare nel principe-cantastorie amor coniugale ed adulterio.
La sghembezza è rimasta attaccata anche ai tempi teatrali con cui si disponevano gli elementi: preponderanza della narrazione, inserzione dei pezzi musicali, con proporzioni più equilibrate nella seconda parte nella quale Corghi, avvicinandosi lo scioglimento della vicenda, ha anche modulato la scrittura verso territori più morbidi e reminescenti il sound storico originale. Peccato che in questo gioco abbia partecipato in secondo piano la componente registico-visiva: le proiezioni di Cristian Taraborrelli erano efficaci soprattutto quando restituivano il segno depurato della presenza coreografica che animò la festa berlinese, ma non sono andate oltre un ruolo di sfondo.
La partitura di Corghi non era facilissima da padroneggiare: i giovani musicisti tedeschi del Podium Junger Musiker hanno fatto un buon lavoro, sotto la direzione attenta e sicura di Christopher Franklin, ma il numero di archi (e la loro esperienza) non era tale da sostenere senza problemi equilibrio sonoro (sbilanciato sui fiati) ed intonazione dell'intero complesso; merito di Franklin aver a questo punto cercato almeno un timbro pastoso e non forzato. Le voci erano di buon livello (con menzione speciale per quella del soprano Alexandra Lubchansky, che meglio ha soddisfatto fluidità dell'interpretazione e bilanciamento con lo strumentale) e ben preparate, anche se giovani, come nella tradizione del Festival che per questo si affida da anni a Regina Resnik. Molti applausi, e qualche isolato dissenso, ma non si è capito verso chi o che cosa.
Interpreti: voce recitante: Aldo Busi interpreti vocali: Victoria Granlund, Alexandra Lubchansky, Mojca Vedernjak, Donath Havar, Till Fechner Complesso Strumentale del Podium Junger Musiker Altre repliche: martedì 26 agosto ore 21
Regia: Cristian Taraborrelli
Scene: Cristian Taraborrelli
Orchestra: Complesso Strumentale del Podium Junger Musiker
Direttore: Christopher Franklin