Requiem per l'angelo Lulu
All'Opera di Amburgo una radicale lettura del capolavoro incompiuto di Alban Berg
Come per l’altra grande incompiuta della storia dell’opera, Turandot, anche per Lulu il discorso sul completamento del terzo atto sembra tutt’altro che chiuso. A
poco meno di quarant’anni dall’accuratissimo lavoro di Friedrich Cerha sul frammentario materiale lasciato da Alban Berg e dopo un recente tentativo alternativo e meno organico del compositore Eberhard Kloke con scarso seguito, Amburgo riapre il discorso con una proposta dal segno radicale firmata da Johannes Harneit e Kent Nagano, funzionale all’altrettanto radicale versione scenica del regista Christoph Marthaler e dal suo consulente per la drammaturgia Malte Ubenauf.
L’idea è semplice e agli antipodi del paradigma di Cerha, ossia di costruire una versione plausibile e coerente con i primi due atti: nella versione amburghese al pubblico viene presentato solo il materiale autentico uscito dalla penna di Berg. Dunque, le iniziali 268 battute orchestrate del terzo atto si ascoltano nella loro completezza e in continuità con il secondo atto e, dopo una pausa, si riprende con il solo pianoforte fino all’assassinio di Lulu seguita, con un vero coup-de-théâtre (il solo, forse, della lunga serata), dal Concerto per violino dello stesso Berg. Quasi un requiem alla memoria dell’ “angelo” Lulu e del suo volo spezzato. Sebbene rigoroso sul piano della fedeltà al lascito del compositore, sul piano drammaturgico la proposta amburghese inevitabilmente sfrangia l’organicità del testo e la simmetria della vicenda voluta dallo stesso Berg.
E tuttavia è intimanente coerente con l’approccio “strutturalista” adottato dal regista Christoph Marthaler nel suo allestimento, lontanissimo da qualsiasi lettura naturalista ma anche espressionista dell’opera, che del resto sfugge a qualsiasi canone tradizionale. Le tre parti dello spettacolo sono trattate in maniera distinta anche sul piano delle soluzioni scenografiche (dell’inseparabile Anna Viebrock) con il solo filo rosso di un teatrino che sottolinea l’artificiosità della rappresentazione: un circo per la prima parte, l’interno borghese della seconda (con le adorate derive nell’assurdo del regista svizzero) e uno sgrammaticato insieme sparso di oggetti della terza. Che l’aspetto narrativo interessi poco a Marthaler lo si capisce anche dal blocco pressoché indistinto dei personaggi maschili e di una Geschwitz sideralmente lontana anche sul piano fisico (Ann Sofie von Otter, sublime per intelligenza scenica) da una Lulu di esaltata e virtuosa corporeità (Barbara Hannigan, superlativa nell’impegno vocale e atletico). All’analicità cerebrale di Marthaler corrisponde bene quella musicale di Kent Nagano, ammirevole per la precisione matematica e la chiarezza di esposizione delle complesse linee berghiane realizzare da un’orchestra concentratissima e in forma smagliante. E alla fine arriva anche l’emozione con il Concerto per violino, eseguito in scena dalla brava Veronika Eberle. Produzione piuttosto impegnativa e lunga (si sfondano le quattro ore), qualche fuga in sala, ma il successo arriva puntuale.
Note: Nuovo allestimento della Hamburgischen Staatsoper. Date rappresentazioni: 12, 15, 18, 21 e 24 febbraio 2017.
Interpreti: Barbara Hannigan (Lulu), Anne Sofie von Otter (Gräfin Geschwitz), Marta Swiderska (Eine Theatergarderobiere), Martin Pawlowsky (Der Medizinalrat), Peter Lodahl (Der Maler / Der Neger), Jochen Schmeckenbecher (Dr. Schön), Matthias Klink (Alwa), Ivan Ludlow (Ein Tierbändiger/Ein Athlet), Sergei Leiferkus (Schigolch), Dietmar Kerschbaum (Der Prinz/Kammerdiener), Denis Velev (Theaterdirektor), Liliana Benini, Begoña Quiñones, Sasha Rau, Sylvana Seddig, Marc Bodnar (mimi), Veronika Eberle (violinista), Bendix Dethleffsen (pianista)
Regia: Christoph Marthaler
Scene: Anna Viebrock
Costumi: Anna Viebrock
Orchestra: Philharmonisches Staatsorchester Hamburg
Direttore: Kent Nagano
Luci: Martin Gebhardt
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