A Regensburg un’opera nuova da Kleist
Il Theater Regensburg presenta Michael Kohlhaas di Stefan Heucke tratta da un racconto di Heinrich von Kleist
Michael Kohlhaas è un mercante di cavalli. Dal Brandeburgo parte alla volta della Sassonia per vendere i suoi animali più belli. Lungo il cammino, il signorotto Wenzel von Tronka gli impedisce il passaggio nelle sue terre per un presunto permesso mancante. Una palese ingiustizia ma Kohlhaas non può far altro che lasciare in garanzia i suoi due cavalli migliori per continuare il suo viaggio. Al ritorno, li ritrova malconci e pretende giustizia. Il potere però è dalla parte di Tronka e le pretese di Kohlhaas rimangono senza ascolto, come anche il sacrificio della moglie che perde la vita nel tentativo di sostenere le sue ragioni. In nome di quella giustizia che non riesce a ottenere, Kohlhaas mette a ferro e fuoco campagne e villaggi, spingendo perfino Martin Lutero a sollecitare il perdono per lui all’elettore di Sassonia. Alla fine di lunghe vicissitudini giustizia l’avrà ma poco prima di salire sul patibolo proprio in nome di quella stessa giustizia da lui violata per ottenere il riconoscimento del torto subito.
Storia di ordinaria ingiustizia o apologo di una giustizia ingiusta, questa vicenda realmente accaduta nella Germania del XVI secolo trovò forma letteraria nel primo decennio dell’Ottocento grazie a Heinrich von Kleist. Da quel racconto, o piuttosto dal suo adattamento teatrale di Franziska Steiof, nasce Michael Kohlhaas, opera in due atti e 22 scene di Stefan Heucke, autore anche del libretto con Ronny Scholz, commissionata dal Theater Regensburg. Lavoro di impianto tradizionale, si tratta di un singolare ibrido fra un linguaggio musicale solidamente ancorato alla tradizione post-romantica e la drammaturgia “didattica” alla Brecht e Weill. Interessante è soprattutto la definizione dei ruoli vocali, che prevede tre cantanti – un tenore per Kohlhaas, un baritono e un mezzosoprano per la ventina e più dei ruoli di contorno – e un coro “alla greca” che descrive e commenta gli eventi dell’articolata vicenda. La minuziosa scrittura musicale, invece, denuncia un alto artigianato di fattura, un’indubbia competenza contrappuntistica e una fin troppo ossequiosa vicinanza ai grandi modelli del passato ma stenta a trovare una sintesi e una forza drammaturgica che vada oltre la cura leziosa del dettaglio.
Ben più deciso è il segno registico, che regge molto del peso delle poco più di due ore del lavoro. Philipp Westerbarkei allestisce uno spettacolo interamente costruito sui corpi dei suoi giovani interpreti, sollecitati a un notevole impegno fisico sulla pedana fortemente inclinata, che è la scena unica immaginata da Kristopher Kempf per questa produzione arricchita dall’ottimo disegno luci di Martin Stevens (ma meno dai timidi interventi video di Sven Stratmann). Tutti vestiti in completi e cravatta grigio chiaro all’inizio della vicenda, tutti si spogliano via via di quegli abiti quanto più si spinge oltre la rivolta alle convenzioni sociali e la messa in discussione dei fondamenti del contratto sociale. Dall’ordine al caos, rappresentato con i tratti esaltati e deformati di un incubo espressionista.
Da elogiare per il grande impegno anche fisico e per la versatilità vocale i tre protagonisti Paul Kmetsch, che è Kohlhaas, Benedikt Eder e Patrizia Häusermann, non meno che il coro fatto da Felix Albers, Jean-Baptiste Vizmathy, Thoja Steenbeck, Hannah Sophie Schad, Oliver Natterer, Sander Lybeer, Samuel Kastell, Malte Flierenbaum, Amélie Althaus, Julius Böhning e Hugo Ziegler per la marcante partecipazione al disegno scenico. Alla testa della Philharmonisches Orchester di Regensburg il direttore Tom Woods dirige con diligenza e precisione l’eterogenea partitura di Stefan Heucke, dando soprattutto rilievo al palcoscenico.
Particolarmente affollata è l’ultima recita in cartellone nella piccola sala del Theater Regensburg, nonostante il clima decisamente estivo inviti piuttosto alle escursioni nel vicino Danubio. Qualche fuga dopo la pausa, ma applausi sinceri alla fine.
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