Opera tra utopia e globalizzazione

La tanto attesa nuova collaborazione tra Adams e Sellars, da mesi accompagnata da una onnipresente propaganda mediale, rivela contemporaneamente la grande forza e i molti limiti di una concettualizzazione estetica tutta basata e legittimata dalla vis trainante di utopia e "globalizzazione" artistica. E anche se il risultato non convince, il pubblico entusiasta porta a casa stimoli a non finire e un messaggio di nobile semplicità e immediatezza.

Recensione
classica
Halle E im Museumsquartier Vienna Wien
John Adams
19 Novembre 2006
Un compositore e un regista americani scrivono un'opera per celebrare Mozart usando un soggetto tratto da una fiaba indiana, danzatori javanesi e un'orchestra venezuelana. La forza di questo allestimento – ma allo stesso tempo tutta la sua fragilità – sono presenti in queste premesse di sincretismo culturale e geografico, poiché il tutto può trasbordare con indistinguibile immediatezza nell'effimero e nel parossismo e, in grado non minore, ammaliare e commuovere. È proprio un misto di questi due estremi che accompagna una ricezione critica di questa nuova produzione del consolidato duo Adams e Sellars. All'entrata in sala, l'orchestra è già posizionata sulla scena, anzi vi è integrata visto che occupa quasi due terzi del palcoscenico e introduce in una dimensione onirica attraverso splendidi abiti sgargianti e variopinti e una scenografia a metà tra organicismo new age e cartone animato. Nell'eseguire la partitura, un tappeto sonoro che dopo due ore perde in tensione e interesse, l'orchestra - in cui convivono musicisti più esperti e altri alle prime armi - volentieri pasticcia (intonazione e ritmo), ma quello che traspare è un misto di entusiasmo e intensità che fa dimenticare le continue imprecisioni. Da un punto di vista drammatico si potrebbe parlare di cantata scenica, visto che la vicenda viene raccontata (e qui bisogna elogiare la chiarezza del canto-declamazione di Owens) e illustrata con danze e scene corali, ma con poca azione scenica. C'è chi ha definito il tutto un'accozzaglia kitch ma più moderatamente ci sembra appropriato parlare di un tentativo di teatro musicale che si perde tra utopia e globalizzazione, con molte falle e un pubblico entusiasta che torna a casa con stimoli sensoriali a non finire e un messaggio semplice e universale, come nelle favole.

Note: Prima esecuzione assoluta. Commissione: New Crowned Hope, San Francisco Symphony, Barbican Centre, London, Lincoln Center for the Performing Arts, New York, Berliner Philharmoniker. Koproduktion: New Crowned Hope, Lincoln Center for the Performing Arts, New York, Barbican Centre, London, San Francisco Symphony, Berliner Philharmoniker, English National Opera, London.

Interpreti: Cantanti: Eric Owens, Jessica Rivera, Russell Thomas Ballerini: Rusini Sidi, Eko Supriyanto, Astri Kusama Wardani

Regia: Peter Sellars

Scene: George Tsypin; Luci: James F. Ingalls

Costumi: Gabriel Berry

Orchestra: Joven Camerata de Venezuela

Direttore: John Adams

Coro: Schola Cantorum de Venezuela

Maestro Coro: María Guinand, Ana María Raga

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.