Omaggio a Luigi Dallapiccola

Canti di prigionia al Maggio Musicale Fiorentino

Concerto Dallapiccola (Foto Michele Monasta)
Concerto Dallapiccola (Foto Michele Monasta)
Recensione
classica
Auditorium del Maggio
Concerto Dallapiccola
07 Giugno 2025

A Firenze si sono eseguiti i Canti di prigionia di Luigi Dallapiccola (1904-1975) per coro misto e ensemble strumentale, una dedica a uno dei più stimati compositori vissuti nella città, nei cinquant’anni della morte. La produzione era condivisa con l’Accademia Chigiana di Siena e i suoi strumentisti e con il coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini”, sotto la direzione di Lorenzo Donati.

Il capolavoro del compositore istriano-fiorentino era preceduto dal brano di Filippo Perocco in prima esecuzione assoluta, commissionato dalla stessa Chigiana, Disegnare rami per soprano, doppio coro, due pianoforti e live electronics. Il pezzo è poeticamente ispirato a un senso di meditazione epifanica di fronte a un luogo animato come il bosco, dove gli alberi sono esseri viventi con cui ci può essere rapporto di scambio emotivo, dialogico. Il contatto con le creature albero genera un senso di vicinanza alla precarietà della natura e dei suoi esseri, e da qui origina il lavoro di costruzione sonora di Perocco, basato su un’evanescenza delle forme: rami, foglie, frammenti di materia intravisti in trasparenza generano un ductus di minimi eventi sonori: sussurri, vocali sbiancate, parole smembrate in sillabe, ritagliate come in un intarsio ‘per via di levare’. Il doppio coro è chiamato, ci è parso, a una prova difficile, in una ragnatela di leggerezze e trasparenze, con i pianoforti preparati che seminano pulviscoli sonori, e un’elettronica che contribuisce al senso di smarrimento e stupore con un mantello di sonorità instabili, elettronica assai in sordina e poco sovrastante. Per fortuna, abbiamo pensato. I testi cantati sono dello stesso compositore, frutto di rielaborazioni che si rifanno a un tono di scrittura poetica performativa frequente nel secondo Novecento, e alla brava soprano Livia Rado spettava il compito di condurci in modo più chiaro attraverso immagini poetiche, scarne alla Paul Celan, o Alejandra Pizarnik, o nelle parti più naturalistiche abbiamo pensato anche a una poetessa contemporanea come Mariangela Gualtieri, mentre nei brani in tedesco si aggiungono elementi di pensiero filosofico, “einige Gestalt sich selbst darzustellen”, una figura cerca di darsi forma, di esprimersi, o anche “ein Kern... ein Funke... ein Gedanke”, un’essenza, una scintilla, un’idea, e pare di aggirarci in regioni rilkiane, o heideggeriane. Il brano si articola in 4 parti: Veglia, Carillon, Sogno-Metamorfosi-Seme, Congedo, e le parole frammentate e sparse, oltre alla condotta sonora descritta, ci immergono in un clima onirico. Nel finale, alla parte di soprano, in canto muto, una citazione dal tema finale dell’Uccello di fuoco di Stravinskij, dove si celebra la vittoria della luce sul buio e il principe Ivan sposa la principessa liberata, chissà, forse un finale ottimistico e di speranza.

I Canti di prigionia (1938-41), per coro, percussioni, due pianoforti e due arpe sono un capolavoro della prima piena stagione creativa di Dallapiccola, profondamente sintonico con il drammatico clima bellico, e ideale preludio al successivo atto unico de Il prigioniero, un’opera simbolo di resistenza morale e denuncia artistica nel cuore del fascismo. E non è protesta e denuncia solo delle contingenze storiche, pur terribili, ma un monito universale, civile, eticamente profondo e ispirato. Il brano è un trittico, tre parti legate coerentemente dal linguaggio dodecafonico interpolato dal Dies irae gregoriano: Preghiera di Maria Stuarda, dalla preghiera della regina di Scozia dettata in carcere, Invocazione di Boezio con passi scritti in carcere dal terzo libro del De consolatione philosophiaeCongedo di Gerolamo Savonarola da testi del frate a commento del Salmo 30 In te, Domine, speravi, scritti dal carcere nell’attesa della morte imminente.

Fin dall’inizio si impone una scrittura di straordinaria intensità e densità, ieratica, tragica; la scelta del Dies irae ‘a guisa di cantus firmus’ veicola la forza apocalittica insita nelle parole, come sottolinea lo stesso compositore in un frammento autobiografico. Le voci anche se sussurrate in specifici momenti – Introduzione alla Preghiera-, sono generalmente impiegate in pienezza, in contrasto con le sonorità raggelate delle percussioni. La Preghiera e il Congedo sono i due pilastri drammatici, mentre l’Invocazione, più breve, è una sorta di Scherzo toccatistico, con veloci e leggeri sequenze dei pianoforti di grande brillantezza e perizia contrappuntistica poi strutturate armonicamente nel cantus firmus con l’entrata del coro. Esecuzione convincente e molto applaudita di coro e solisti: Anna D’Errico e Aldo Orvieto pianoforti, Emanuela Battigelli e Stefania Scarpin arpe, Antonio Caggiano e il Chigiana Percussion Ensemble, la direzione di Lorenzo Donati esperta e precisa, nei Canti con un di più di partecipazione emotiva, dal direttore stesso comunicata al pubblico prima del Congedo come bis.

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