Nyman, una partitura per onde sismiche
Per Firenze Suona Contemporanea prima mondiale della video istallazione Nyman’s Earthquakes
Lo spiccato eclettismo di Michael Nyman, compositore, critico musicale, musicologo, saggista, fotografo, filmmaker, più che sottolineare interessi diversi rafforza invece l’idea della volontà di cementare nella prassi creativa più elementi, sonori e visivi, maneggiati con l’intenzione costruttiva, nella poetica e nei ritmi, di una ampia pagina musicale.
Anche se Nyman in una intervista del 2008 aveva affermato che «la fotografia è l’opposto della musica, è insieme passato e presente. La musica invece, una volta che è presente, è già passata», il suo recente War Work: 8 Songs With Film (2014-2018) rafforza questa riflessione iniziale. É come se Nyman, famoso in tutto il mondo per le sue ammalianti colonne sonore, si voglia affrancare da quel ruolo che ha reso fruibile le sue composizioni a livello planetario verso pubblici culturalmente e generazionalmente diversi a favore di una ricerca, se non proprio sperimentale, più autonoma rispetto alle commissioni dell’industria cinematografica.
Su questa strada, Nyman’s Earthquakes – video installazione in prima mondiale a Firenze Suona Contemporanea, sonorizzata dal vivo dal compositore – risulta un lavoro singolare quanto fragile nel proprio sviluppo comunicativo. Il terremoto come evento naturale distruttivo, traumatico, viene sviscerato nel montaggio di spezzoni di documentari, servizi giornalistici, film, concerti. Colpisce subito l’uso nelle scene iniziali del brano "No Woman No Cry" di Marley sul dolore di una donna china sulle rovine di Kobe in Giappone (1995) (in una versione del tutto insolita di un gruppo femminile giapponese). Città del Messico (1985), Skopje (1967), Belice (1968), Gujerat (2004), Italia Centrale (2016), terremoti non solo come violente rotture di equilibri di masse rocciose sotterranee ma soprattutto come sconvolgente e profonda frattura degli equilibri della normalità giornaliera della vita. I dettagli dello strazio negli occhi dei sopravvissuti, oggetti quotidiani tra le macerie, le mani nude che scavano, lo sforzo dei soccorritori, il rumore delle escavatrici, la polvere, le voci che si accavallano, le bare accatastate, le proteste per la lontananza delle istituzioni, accomunano eventi lontani temporalmente e geograficamente in una specie di complessa scenografia drammaturgica diluita con una logica di montaggio del tutto avulsa di ogni intenzione narrativa.
Le tracce sonore molto frammentate, tra cori mistici, accenni al piano di Lezioni di Piano, soprattutto rumori d’ambiente, voci, per qualche attimo il suono inquietante di un terremoto come bestia malefica che ringhia sottoterra, il silenzio dell’acqua, le ragazze che saltano leggere con la corda, rimangono un po' scollate dal contesto.
La proposizione degli stessi materiali su cinque grandi schermi paralleli con voluti sfalsamenti temporali offre quel senso di partitura musicale in apertura citata (ripetizione minimalista?). Probabilmente proprio lo spaesamento sensoriale creato dalla proiezione multipla delle cinque immagini vicine e diverse che ci raccontano le stesse storie, le stesse vicende umane risulta l’aspetto più coinvolgente di un’opera che complessivamente rimane alquanto anonima, che non riesce ad emozionare più di tanto pur indagando le realtà, il vissuto crudo di drammi umani e ambientali.
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