Mito riscopre Alfano
La musica di un grande compositore affidata a quattro ottimi musicisti
Tra le chicche dell’edizione 2024 di MITO spiccano i due concerti dedicati alle liriche di Franco Alfano, prima a Milano (10 settembre) poi a Torino (11 settembre, al Grattacielo Intesa Sanpaolo), con due programmi diversi. Il concerto torinese ha dato infatti più spazio alle liriche su testi del poeta indiano Rabindranath Tagore, che affascinarono Alfano per la loro delicata evocazione di immagini esotiche e amorose. Occasione giusta, dunque, per ascoltare un autore di cui diciamo sempre quanto sia sottovalutato e quanto debba essere maggiormente proposto a fronte del valore della sua musica. È una musica, la sua, tanto bella quanto di difficile esecuzione, per un’armonia cangiante in mille riflessi iridescenti e quasi fragile nel suo estremo cromatismo che non riesce mai a trovare un punto d’appoggio. La voce che si libra in un simile contesto dev’essere più che impeccabile nell’intonazione, minata com’è sia dalle trappole di un’armonia così insidiosa, sia dallo stesso tortuoso profilo delle melodie.
Ergo, viste le difficoltà, com’è andata a Torino? Incominciamo dal pianista, Klaus Simon, un nome che andrebbe segnato come garanzia per ogni serata di Lieder, Mélodies o Romanze. È in grado di accompagnare con una classe eccezionale, un senso della musicalità che copre tutto lo spettro delle espressioni, comprese la delicatezza, la ritrosia, il pudore; e lui, come persona, ha una comunicativa istintiva e simpaticissima coi musicisti e col pubblico.
Alcune liriche presentavano, oltre che del pianoforte, anche l’accompagnamento del violoncello. Questo era affidato all’eccezionale Philipp Schiemenz, di cui si può dire tutto quello che si è detto di Simon, con l’aggiunta che la scrittura violoncellistica di Alfano (o dei suoi trascrittori, tra cui lo stesso Simon) offre maggiori aperture cantabili rispetto a quella pianistica, e Schiemenz è capace di tornirle con alcuni dei legati più morbidi ed espressivi che si possano sentire. L’unico brano in programma per violoncello e pianoforte, Neapolis, è stata una delle due vette del concerto.
Che dire delle giovani cantanti, il mezzosoprano Nina Tarandek e il soprano Sofia Burgos? Musicalmente sono impeccabili, superano tutte le insidie di cui sopra senza il minimo cedimento, hanno entrambe un timbro assai gradevole, buona uniformità nei registri, e sono in grado di lanciarsi in sfoggi di pura vocalità: l’altra vetta del concerto era infatti Calmo dai Tre vocalizzi, che come suggerisce il nome, nient’altro è che un lungo vocalizzo, dalle inflessioni orientaleggianti, che nell’interpretazione di Burgos ha per qualche minuto trasformato il Grattacielo Intesa Sanpaolo nell’Alhambra. Ma dove ci sono le parole, ahinoi, le due ottime cantanti inciampano in difetti di pronuncia. Cantare Tinderbaum al posto di Lindenbaum, o pronunciare vainement “vainemènt”, non è accettabile, in nessuna lingua, e tanto più nel genere della lirica vocale da camera. Passi la prima volta, passi la seconda, ma quando gli strafalcioni di italiano superano le dieci occorrenze, no, no, no. Siccome le due, ripetiamo, bravissime cantanti sono giovani e in carriera, gioiscano: hanno un terreno da migliorare per diventare ancora più brave.
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