Massacre e la rinascita dell'opera "morale".

Sezioni musicali composte e stabilite fin nel più piccolo dettaglio; improvvisazione collettiva – determinazione e indeterminazione -; prestiti stilistici, citazioni e melodie dal sapore etinico; live eletronic, jazz, tonalità e avanguardia: questo e molto altro nella prima opera del compositore austriaco Wolfgang Mitterer. Eppure sarebbe un grave errore parlare di "postmoderno".

Recensione
classica
Wiener Festwochen Vienna Wien
Wolfgang Mitterer
20 Maggio 2003
In prima assoluta l'opera di Wolgang Mitterer, maggiore compositore austriaco di musica elettronica e una delle voci innovative del panorama musicale europeo. Per questo suo primo grande lavoro per la scena, commissionato dal Festival Viennese e dalla Wiener Taschenoper, il compositore ha scelto di trattare una vicenda storica, le guerre religiose (e politiche) tra protestanti e cattolici nella Francia della fine del Cinquecento. Ovviamente il tema principale è quello della violenza, del "massacro", come dice il titolo stesso del lavoro. Per Mitterer questo è il miglior pretesto per interrogarsi sulla morte, sull'omicidio e soprattutto per condannare la violenza come possibilità di proiezione delle angosce e paure dell'individuo nei confronti del diverso, tema sempre attuale e ora più che mai. Molti dettagli fanno pensare a un'opera scarna. La scena, per esempio è quasi inesistente, priva di qualsiasi eccesso, al limite qualche gioco di luce. Sette colonne (candele) accese occupano il palcoscenico dall'inizio alla fine della rappresentazione. Infatti è la musica a portare un "messaggio" chiaro e universale. È una musica sensuale, emozionale, che sembra volersi contrapporre alle atrocità che avvengono sulla scena, una musica che vuole sostituirsi come messaggio universale alla babele delle religioni e delle ideologie. Forse anche per questo la musica è ricca di differenti stimoli: determinazione e indeterminazione (improvvisazioni collettive); citazioni, prestiti stilistici; live electronic; tonalità, jazz; ... Cinque cantanti amplificati, nove musicisti e un nastro sonoro (che supplisce alla quasi assenza della scenografia fornendo un commento continuo agli eventi). Anche i registri vocali usati fanno intravedere il furor polistilistico di Mitterer: se gli agglomerati corali ricordano gli esperimenti di manipolazione testuale di Berio/Sanguineti, alcune linee melodiche di immensa espressività drammatica e melodica ci riportano alle monodie di Luigi Nono; ma l'influsso dominante è quello della vocalità di Britten, caratterizzata da chiarezza nella declamazione e impeto oratorio delle melodie. Questo non deve stupire se si considera che il testo dell'opera è in inglese, e che Britten ha rivoluzionato la composizione vocale in questa lingua. Un'orgia di urla, lamenti e declamazioni; il testo a volte frammentato a volte prosaico. I cantanti si confondono con i ballerini, formano una massa unica. Il tutto risulta una sorta di balletto cantato, anche perché tutta l'azione è sempre in secondo piano rispetto al "massacro", vero centro narrativo e evidente fulcro dello sviluppo drammatico. Punto forte della rappresentazione è senza dubbio la musica, che più di tutti esplicita l'intento espressivo di Mitterer. Anche qui si alternano differenti piani sonori, a volte densi, altri snelli e cristallini. Nessuno sembra aver paura di parlare la lingua dell'estremo, se questo può servire a chiarire gli intenti artistici della rappresentazione. Il primo a non temere, ovviamente, è Mitterer, che ha creato una partitura ricca di continue sorprese e nonostante la sua difficoltà, mai pesante e ostica. Molte le citazioni (musica del rinascimento inglese e Bach) che vanno intese come commento supplementare e concettuale ai dilemmi politici e religiosi delle vicende storiche sulla scena e che inoltre rivelano la provenienza organistica di Mitterer. Momenti tonali si fondono impercettibilmente nel rumorismo più spregiudicato, quasi alle soglie della sopportabilità. Impeccabile la direzione di Peter Rundel che ha saputo coordinare alcuni dei musicisti austriaci (molti dei quali, compositori) più rinomati. Per fare qualche esempio, Wolfgang Reisinger alla batteria, Klaus Dickbauer al clarinetto e Peter Herbert al contrabbasso e non a caso le numerose parti improvvisate della partitura funzionano a meraviglia. Questi, infatti, sono tra i maggiori jazzisti in Austria e in Europa. Detto tutto ciò, perché non possiamo parlare di opera "postmoderna". In linea di massima molte delle caratteristiche, tra cui il virtuosismo nel mischiare i generi, tenderebbero a far propendere per tale definizione. Eppure, nessuna definizione sarebbe più fuoriviante. Il postmoderno non ha saputo affermarsi in questo nuovo millennio, mentre tutto sembra parlare a favore di una nuova opera "politica", morale per non volere esagerare nei termini usati. Mitterer e la sua dialettica con il passato favoreggiano l'utilizzo di questa definizione. Infatti sembra esserci un'invocazione al ritorno di una funzione sociale e critica dell'artista, la cui responsabiltià morale deve risiedere soprattutto nella sua opera e non solo nel suo agire. Se in Mitterer non ci fosse questo intento, la sua opera potrebbe risultare a tratti manieristica: Tutt'altro: l'opera comunica un disagio; critica una situazione storica facendo emergere un giudizio ben preciso, valido anche per il presente. Sulla scena non è l'azione a essere violenta, ma la violenza a essere rappresentata, questa la differenza fondamentale. Se la storia tenderà sempre a ripetersi, ciò non significa che bisogna abbandonare la lotta e la speranza.

Note: Commissionato dal Vienna Festival. Prima mondiale

Interpreti: Duchesse: Katia Plaschka, Navarra: Bettina Pahn, Catherine: Annette Stricker, Henry: Alexander Plust, Guise: Georg Nigl, 4 dancer: Jodi Melnick, Ingrid Weisfelt, Sebastian Rowinsky, Wang Kuo-Chuan

Regia: Joachim Schlömer

Scene: Katrin Brack

Costumi: Katrin Brack

Orchestra: Wolfgang Reisinger: percussion; Klaus Dickbauer: clarinet; Peter Herbert :double bass; Daisy Jopling: violin; Yoshida Kaori: viola; Johannes Marian: piano; Erich Traxler: cembalo; Martin Bramböck: hor

Direttore: Peter Rundel

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