Accompagnata da un bel can can pubblicitario ecco alla Biennale danza di Venezia Jin Xing, che come si narra anche nel bel libro autobiografico pubblicato in Italia da Sonzogno era un colonnello dell'esercito cinese ed oggi – dopo una dolorosa operazione - è una bellissima signora, coniugata e madre di due bimbi adottati, oltre che coreografa e danzatrice celeberrima nel suo Paese, titolare di una frequentata scuola a Shangai. Cresciuta tra Opera di Pekino e "vecchio" modern americano, Jin Xing non è probabilmente coreografa che passerà alla storia, limitandosi a utilizzare linguaggi già noti ed assemblati a capriccio. Ma nell'assolo presentato allo Spazio Fonderie dell'Arsenale (The Closest – The Furhtest, ossia una meditazione su ciò che è più vicino e lontano) si conferma certamente presenza scenica di primissimo piano oltre che artista di sottile cultura. Tutto parte da un antichissimo strumento cinese, il Gu Qin: esisteva già tremila anni fa, è un classico strumento a corde da pizzico, piatto, lo utilizzavano unicamente gli imperatori per i loro dialoghi con la Divinità. Col tempo – stupenda, poetica trovata – le corde aumentarono: perché molti e sempre più complessi erano i problemi dell'Impero, e dunque maggiore varietà di espressioni era necessaria per parlare con chi stava Lassù. Ma quante corde – si chiede Jin Xing – servirebbero oggi per raccontare i disastri che affliggono il mondo? E brutalmente dai suoni rarefatti, siderali tratti da una ieratica musicista si passa ai clangori insopportabili della Shangai di oggi mentre tra i suoni di ieri e quelli di oggi l'ex colonnello scivola felina in una danza che è un palese omaggio a Martha Graham, la Gran Madre del modern americano che a sua volta si divise tra l'evocazione del Mito e la denuncia sociale.
Interpreti: Jin Xing Dance Theatre (Cina)
Coreografo: Jin Xing