Lucio Dalla e la levità "pop" di Arlecchino
C'è la mano di Lucio Dalla, alla sua prima regia d'opera, dietro al nuovo allestimento di "Arlecchino" andato in scena al Teatro Comunale di Bologna: "una lieve canzonatura", come la definì lo stesso Busoni, il cui senso ci viene restituito da Dalla attraverso un'immediatezza comunicativa che permea ogni frangente di una messa in scena spontaneamente priva di ricercatezze.
Recensione
classica
"È una lieve canzonatura della vita e anche del palcoscenico": così si esprimeva Ferruccio Busoni a proposito del suo "Arlecchino"; parole che in una battuta rivelano il senso di questo lavoro.
Se la "canzonatura" è la vera protagonista di questo capriccio scenico e ha nel personaggio di Arlecchino il suo ambasciatore, il suo essere "lieve" ne denota il carattere.
È da qui che prende le mosse la regia di Lucio Dalla al Teatro Comunale di Bologna: una levità "pop" permea il gusto generale di questa messa in scena spontaneamente priva di ricercatezze – nell'interpretazione del protagonista Marco Alemanno, come nella semplicità dell'allestimento (sulla stessa linea, peraltro, la direzione lineare di David Agler).
Si compone così il quadro di "Arlecchino", tra un protagonista inconciliabile con tutto e con tutti (non a caso il suo è l'unico ruolo non cantato) e una serie di figure, interpretate da giovani voci che disegnano bene i loro ruoli: Maurizio Lo Piccolo, marito pauroso, moralista e cornuto; Ugo Gagliardo e Massimiliano Gagliardo, medico e prete la cui rivalità si scioglie in fiumi di vino; la tradita Colombina di Sabina Willeit che – forse sì, forse no – si consolerebbe con il nuovo spasimante, Filippo Adami.
La parodia di Busoni è più un buffetto che uno schiaffo: il pastiche è articolato sul piano musicale, ed è da questo contrasto con la semplicità dell'azione scenica che nascono le invenzioni migliori, come può essere la lode al vino, decantato dall'Abbate Cospicuo come fosse una serenata d'amore nella più pura tradizione belcantista.
Un Dalla sornione – anzi, il suo sosia –, da una finestra della casa attorno a cui ruota tutta la scena, racconta la morale di una favola che è un inno all'irriverenza, all'individualità e all'anticonformismo: e dà la buonanotte.
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