L'oro al massacro

Se il possesso dell'oro del Reno porta al massacro, il massacro dell'Oro del Reno è la parola d'ordine del regista Herbert Wernicke nel nuovo allestimento che apre la Tetralogia del nuovo millennio a Monaco, dove il prologo dell'Anello del Nibelungo apparve per la prima volta quasi centocinquant'anni fa, prima che a Bayreuth. Regia che, ricordandolo, mette in dubbio il significato stesso di una rappresentazione, risolvendola in un gioco incrociato di specchi, di citazioni e di decontestualizzazioni tra luoghi reali e immaginari del passato e del presente. Un mondo degradato a non sperare più neppure nella magia del teatro. Mehta dirige un'altra cosa, senza sapere quale valore attribuirgli, ma lo fa con imperturbabile, vacua efficienza. Cantanti che recitano senza credere, o credono senza recitare. Pubblico diviso, in una serata di esemplare schizofrenia tutta postmoderna.

Recensione
classica
Bayerische Staatsoper - Munchner-Opern-Festspiele 2001 Monaco di Baviera
Richard Wagner
28 Febbraio 2002
Se è vero, come sosteneva Wieland Wagner, che la Tetralogia è l'unica opera di Wagner a richiedere ogni dieci anni una nuova visione interpretativa, quella del nuovo millennio avviata con L'oro del Reno dall'Opera di Monaco e destinata a concludersi nell'arco della prossima stagione lascia intendere una svolta senza precedenti: la fine dell'idea stessa di rappresentazione di un testo in favore di un gioco di specchi, di rimandi, di allusioni e di citazioni che lo rendono estraneo al suo stesso essere azione teatrale d'autore. Herbert Wernicke, scenografo e regista, immagina che la scena sia posta nel mezzo fra la platea del Festspielhaus di Bayreuth riprodotto in dettaglio sullo sfondo e gremito di spettatori dell'Ottocento e la platea del Nationaltheater di Monaco con al di qua il pubblico di oggi . Al centro non si rappresenta un'opera, ma si svolge un intrattenimento di società, una commedia a tinte forti con molteplici ammicchi all'attualità che decostruisce l'oggetto di cui tratta e ne fornisce, con intermittente successione, frammenti di ipotetiche visioni d'impronta diversa, ma ognuna tradotta in immagini d'ironico scetticismo, di sarcasmo distanziato: come se a essere messo in dubbio fosse proprio il rito teatrale in quanto tale, il significato stesso della rappresentazione. Ciò che ad essa si riferisce è pura opzione, nonsense all'ennesima potenza su una base di brutale massacro. Così il Reno all'inizio è una vasca d'acquario con tre pesci rossi dalla quale Alberich estrae una pepita d'oro e forgia, con l'anello, la maschera di Hannibal, rendendosi in tal modo capace di derubare con la forza collane ed orecchini delle signore terrorizzate sedute tra le seggiole finte di Bayreuth; mentre le ondine sono tre show girls in abiti di lamé con spacchi generosi che sorseggiano allegramente champagne, e che verranno poi ospitate alla fine nel palco reale per cantare la loro improbabile morale. I giganti Fasolt e Fafner sono agenti delle tasse venuti a chiedere quanto dovuto per un losco affare di cui s'intravede l'effigie, il mausoleo del Walhalla, e intanto si godono la tangente molestando sessualmente Freia; e gli dei, o quel che di essi rimane, sono una compagnia di commedianti che s'interrogano sulla loro stessa presenza e destinazione in quel luogo: attori che recitano un copione sfrangiato e insensato, comportandosi chi da guitto chi da bandito. In alto in un palco siede per tutto il tempo una figura che segue attentamente la partitura, e che si rivelerà essere Erda l'onnisciente. Tutto si conclude con una salita al Walhalla che altro non è se non la proiezione su uno schermo davanti al sipario di immagini dell'entrata degli spettatori eleganti in teatro, mentre i facchini sgombrano la scena. Domani sarà un'altra opera, o forse la fine dell'opera. Zubin Mehta, che suo malgrado dirigeva la partitura di Wagner come una colonna sonora d'accompagnamento, si è dimostrato anche in questa funzione un campione del musically correct: i tempi, le sonorità, il fraseggio erano, o dovevano essere quelli giusti, salvo una sgradevole tendenza al fracasso negli interludi, dove Wernicke gli lasciava tutta la responsabilità dell'intrattenimento. Resta un mistero come un direttore d'orchestra della sua autorevolezza, anche in qualità di direttore musicale generale dell'Opera di Monaco, possa avallare operazioni che, comunque le si voglia giudicare, sono uno schiaffo al principio d'integrità del dramma musicale. Ancor più complesso il discorso sui cantanti. La compagnia riunita per l'occasione era di prim'ordine, con nomi altisonanti: Tomlinson (Wotan), Kapellmann (Alberich), Rydl e Rootering (Fafner e Fasolt), Lipovsek (Fricka). Tutti in generale apprezzabili più per le prestazioni vocali che per quelle sceniche, pur assolte con diligente spirito di servizio, a dimostrazione che forse sono proprio i cantanti a soffrire in questo tipo di immedesimazioni, che non possono essere la conseguenza di uno studio e di un approfondimento vocale preventivo del personaggio. In altri termini la distonia tra ruolo vocale e sovrastruttura imposta dalla regia si fa sentire in modo irrimediabile proprio in questi casi estremi, portando a uno strano stato di schizofrenia tra ciò che si canta e ciò che si deve recitare. Meno toccato dal problema era il solo Philip Langridge nella parte di Loge, che sembrava provenire direttamente dalla esperienza espressionista del Wozzeck. Tutto ha una ragione. Anche il pungente commento di Mime (un sapido Helmut Pampuch, che ne ha già viste di tutti i colori), perfetto per la serata: "Ahi!Ahi!Ahi!". Pubblico, come si conviene in queste occasioni, equamente diviso tra favorevoli e contrari. I favorevoli sicuramente afflitti da un complesso di colpa verso Wagner che in Germania è ancora molto più diffuso di quanto non si creda e che dunque si compiace delle dissacrazioni. Odio per odio, demente per demente.

Interpreti: John Tomlinson, Philip Langridge, Franz-Josef Kapellmann, Helmut Pampuch, Jan Hendrik Rootering, Kurt Rydl, Marjana Lipovsek, Anna Larsson.

Regia: Herbert Wernicke

Scene: Herbert Wernicke

Orchestra: Orchestra dell'Opera di Monaco

Direttore: Zubin Mehta

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.