Lo zar è nudo
Parigi, al Théâtre des Champs-Elysées l’elegante Boris Godunov firmato Olivier Py
Presentato lo scorso novembre in anteprima al teatro Capitole de Toulouse, il nuovo allestimento di Olivier Py del Boris Godunov di Musorgski ha conquistato la capitale francese con la sua messa in scena molto sofisticata, nello stile a cui ci ha abituato negli anni il regista francese, qui quasi anche, si potrebbe dire, in accordo con le eleganti linee dorate art déco del teatro dei Champs-Elysées. Una messa in scena chic che pero’ rende quest’opera russa, tanto potente nell’espressione dei tormenti dell’animo umano, un po’ più fredda di come ci si aspetterebbe, ed anche la fine dello zar, tutto giocato su un incandescente fondale rosso, non è indelebile come il suo ricordo in altri allestimenti. Delle tante versioni dell’opera è stata preferita la prima, quella del 1869, più concentrata delle successive, 7 quadri che Py ha scelto di non interrompere, lasciando quindi lo spettatore travolto dagli avvenimenti per due ore senza intervallo. La direzione musicale è stata affidata al maestro lettone Andris Poga, direttore principale della norvegese Stavanger Symphony Orchestra, che ne da una lettura incalzante e profonda alla testa dell'Orchestre National de France. Ottima sin dalle prima scena la prestazione del Coro dell’Opéra National du Capitole, diretto da Gabriel Bourgoin, affiancato dai giovani della Maîtrise des Hauts-de-Seine istruiti da Gaël Darchen. Sono compatti e d’impatto, ben messi in valore dal regista, un popolo che è protagonista fondamentale, quanto i singoli personaggi principali, della tragica storia. Il baritono tedesco Matthias Goerne debutta nel ruolo di Boris e lo fa con autorevolezza e grande umanità, ben facendo percepire tutte le contraddizioni di un uomo che conquista il potere ma è tormentato dai rimorsi, notevole la scena delle sue allucinazioni giocato con le luci di Bertrand Killy. Il regista presenta la figura di Boris inizialmente nudo e poi vestito come lo scemo del villaggio, con sottanina da donna e cappellino a cono deridente. Il contrasto è netto con lo splendore della veste dorata che indossa invece Boris incoronato zar, ma sotto l’oro resta l’anima in pena sempre più tormentata. La macchina scenica, ideata da Pierre-André Weitz che firma anche i bei costumi, consiste in pareti che cambiano posizione e colore, dal grigio all’oro, a secondo degli ambienti evocati, la lucentezza del potere in contrapposizione alla scura povertà . La struttura si anima con il coro disposto su più livelli e con una scala centrale dagli usi multipli, è efficace, ingegnosa, solo un po’ ripetitiva alla fine nel meccanismo, ma che sa rinnovarsi con sempre nuove soluzioni, alcune molte significative, come il lungo tavolo con lampadario che diventa anche pulpito, altre un po’ scontate con discutibili riferimenti agli attuali politici russi e soldati in mimetica un po’ ridicoli. Le più riuscite sono senza dubbio le scene corali, ma molto intenso anche il racconto tra Pimen, il vecchio monaco che scrive la cronaca del regno di Ivan il Terribile, interpretato dal basso italiano Roberto Scandiuzzi e Grigorj, il giovane monaco che decide di spacciarsi per lo zarevich morto, interpretato dal giovane tenore spagnolo Airam Hernández. Non convince invece come sono presentati i due figli di Boris: soprattutto il ragazzo Fiodor che gioca a palla con un mappamondo leggero leggero, interpretato dall’emergente mezzo francese Victoire Bunel; meglio la figlia Xenia, disperata per la morte del principe suo promesso sposo, che è invece il giovane soprano Lila Dufy. Si fa notare anche il baritono basso Mikhail Timoshenko come Andreï Chtchelkalov, il segretario della Duma. In generale tutto il cast ha belle voci e, insieme alla bellezza indubbia delle scene, ha determinato il successo della nuova produzione, malgrado il regista non scavi in profondità nelle sue scelte, come invece fa fare il maestro Poga all’Orchestra.
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