Lisistrata dice no alla guerra in Palestina
Al Megaron di Atene la commedia lirica di Theodorakis acquista toni drammatici
Recensione
classica
Quarta prova lirica per Mikis Theodorakis, icona della Resistenza e della musica greca. Dopo Medea (Bilbao 1991), Elettra (Lussemburgo 1995), Antigone (Atene 1999) ecco Lisistrata, libretto del compositore stesso, che rispetto al testo di Aristofane si è permesso due importanti varianti, il coro di chiusura inneggiante alla pace e la figura del Poeta, narratore e coscienza critica dell'intreccio, qui impersonata da un divo locale della musica leggera, Giorgios Dalaras. Voce amplificata, come anche quelle dei cantanti, in prospettiva di tournée all'aperto a Epidauro e Istanbul. Si tratta di una commedia lirica, secondo la definizione di Theodorakis, senza recitativi in un continuo di numeri chiusi, tra i quali i cori hanno grande parte. Forse troppa, perché nel secondo atto c'è un susseguirsi d'interventi da gran finale, che creano poi aspettative deluse. La partitura è gradevole, da musical di alta professionalità, con chiari ammiccamenti a Ravel (dal Bolero all'"Enfant et les sortilèges") a Prokof'ev (Alesandr Nevskij), ma soprattutto all'opera francese, segnatamente Bizet. L'aria del Poeta in apertura del secondo atto potrebbe tranquillamete venir cantata nella taverna di Lilla Pastia ed è molto bella. Questo non toglie che vi siano anche improvvisi sprazzi sudamericani (percussioni fuori dalla buca a sinistra) con maracas, ecc. O ironiche entrate, come quella del Corifeo, su un ritmo spezzato che ricorda la sigla della Famiglia Adams. E perfino un'autocitazione: il Magistrato che crede di dover cantare in spagnolo un'aria dal Canto General di Theodorakis (versi di Neruda) e viene redarguito dal Maestro Tsouchlos dal podio. Se il gioco col pubblico funziona, vuol proprio dire che molti brani del compositore sono entrati nel dna nazionale. Comunque il colto pastiche ha il pregio di sciovolar via con elegante leggerezza. La regia di George Michailidis si rifà in parte allo spirito di un Savary o un Arias, mantenendosi sempre però entro binari di perbenismo. L'unico momento in cui si lascia un po' andare funziona assai meglio: con l'adulto formato bebé portato dal papà a pisello ritto sotto le mura dell'Acropoli a cercare di convincere l'inflessibile Mirrhine. E di questi arnesi maschili, che spuntano da Ateniesi e Spartani, ne è pieno lo spettacolo, tanto che presto da gag boccaccescehe si trasformano in innocui oggetti scenici, un po' come i bastoni imbracciati dai burattini. E talvolta vengono anche usati come falli contundenti. La scena rappresenta un garage, con due saracinesche che permettono le entrate. Sulla parte alta c'è una balaustra che lascia intravedere i tetti di una bianca città e sospesi in cielo velieri e areoplanini. Infantili giocattoli di morte, se non fosse che su quella pedana sospesa si muovono silenziose delle donne in chador. Un segno oggi divenuto drammaticamente attuale. E di fatti, a ben leggere i cartelli che Lysistrata e le compagne agitano nelle loro manifestazioni, qui s'inneggia alla pace in Palestina e nel mondo e a favore dei no-global. Non prevista, la tragedia del Medioriente getta una luce angosciosa sullo scanzonato spettacolo. Applausi finali, standing ovation per il compositore e lancio di colorati volantini in platea, con la parola Pace scritta in tutte le lingue, a mo' di pioggia liberatoria.
Interpreti: Evangelatou, Semtschuck, Voulogianni, Papatziakou, Dalaras
Regia: George Michailidis
Scene: Dionisis Fotopoulos
Costumi: Dionisis Fotopoulos
Coreografo: Vagelio Ieronimaki
Orchestra: Orchestra dell'Opera Greca
Direttore: Nikos Tsouchlos / Vasilis Christopoulo
Coro: Coro dell'Opera Greca
Maestro Coro: Fani Palamidi
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