A Liegi Eugenio Onegin durante la rivoluzione

Sul podio Speranza Scappucci, brilla Ildar Abdrazakov

Eugenio Onegin (Foto J.Berger)
Eugenio Onegin (Foto J.Berger)
Recensione
classica
Opéra Royal de Wallonie-Liège
Eugenio Onegin
22 Ottobre 2021 - 30 Ottobre 2021

Il meglio arriva alla fine, nel terzo atto, con innovazioni che funzionano e dove la parte del Principe Gremin è affidata al basso russo Ildar Abdrazakov, godibilissimo per timbro, tecnica ed eleganza nel fraseggio, al suo debutto in un ruolo di solito affidato ad artisti più maturi ma che lui sa ben rendere grazie alla sua autorevolezza e pacatezza, sorretto solo da un bastone per caratterizzarne l’età del personaggio.

A Liegi il nuovo allestimento dell’Eugenio Onegin di Čajkovskij, in coproduzione con l’Opera di Losanna, è firmato da Eric Vigié che ha pensato di posporre i fatti al tempo della rivoluzione bolscevica, in un’atmosfera quindi simile a quella del Dottor Zivago, con i contadini che cantano la fatica nei campi nel primo atto e poi si trasformano in rivoluzionari che si impossessano dei palazzi aristocratici, stravolgendo cosi il visuale sia delle danze nella festa per Tatiana che sopratutto la celeberrima Polonaise del terzo atto che qui diventa l’esibizione di una piccola stella rossa, una bambina ballerina con stellina in testa, adorabile a vedersi, e la festa che viene letta come moderna proiezione cinematografica privata.

Se nell’atto di mezzo il sapore è, infatti, un po’ di forzatura interpretativa che non apporta granché di nuovo, il finale invece riconcilia con le scelte registiche, con una ventata di freschezza inaspettata.  Malgrado la sua immersione preparatoria nella lingua e nello spirito russo, come ha raccontato, la parte musicale affidata alla bacchetta di Speranza Scappucci è, una lettura “all’italiana”, potrebbe dirsi verdiana, della partitura, a tratti troppo forte, con pause a volte troppe marcate e con stacchi troppo notti con le parti più liriche, più delicate. Una direzione comunque sempre molto precisa e decisa, com’è nello stile della Scappucci, e l’esecuzione da parte dell’orchestra è di livello.

Quanto alle voci, oltre alla “gemma” Abdrazakov, il cast è tutto composto da buone voci anche se non sempre adatte al ruolo: Onegin è il baritono Vasily Ladyuk, specialista della parte ma dall’immagine non proprio di dandy affascinante;  il giovane soprano armeno Ruzan Mantashyan  è una Tatiana che può crescere ancora a livello interpretativo, sopratutto nella lunga scena della lettera vissuta qui un po’ troppo sopra le righe; molto bene invece il tenore russo Alexey Dolgov come Lensky, interpretazione in crescendo, voce luminosa e appassionata nel cantare il suo amore per Olga, quest’ultima interpretata dal mezzo Maria Barakova, bella voce morbida ma scura, non adatta alla parte di una giovane leggera e gioiosa; l’altra mezzosoprano, Zoryana Kushpler, è invece una Madame Larina che più che una madre russa sembra la sorella maggiore cresciuta in Francia di Tatiana e Olga;  anche la pur brava Margarita Nekrasova è troppo giovane, anche come colore di voce, per interpretare la vecchia balia; una sorpresa positiva invece il tenore Thomas Morris chiamato all’ultimo minuto a vestire i panni di Monsieur Triquet e lo fa molto bene, con brio ed ironia.

Ottimo il coro,  preparato da Denis Segond, preciso, compatto e con buona pronuncia russa, peccato che il regista Vigié, che firma anche i costumi, lo veste e fa muovere in modo banale, ed anche i solisti sono posizionati in modo troppo statico, ma con le signore vestite decisamente meglio. Quanto alle scene di Gary Mc Cann, con sullo sfondo un cielo cangiante con le luci d’effetto di Henri Merzeau, sono dominate da una grande cupola che apparirà presto devastata dalla rivoluzione, sono essenziali e funzionali

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