L'empatia del Philharmonic String Quartet
L'edizione 2020 del Mittelfest si chiude con un concerto nel trittico Mozart, Haydn e Beethoven
Programma classico, qualità elevata. La nuova generazione di musicisti dei Berliner Philharmoniker, i Philharmonic String Quartet, hanno chiuso con uno straordinario concerto nel trittico Mozart, Haydn e Beethoven, l’edizione 2020 di Mittelfest, quest’anno dedicata all’empatia. E di empatia i quattro interpreti ne hanno dimostrata, ad avvalorare anzitutto la tesi di Goethe che considerava il quartetto d’archi come «una conversazione tra quattro gentiluomini guidati da ragione» – e gentildonne, come l’ensemble cameristico dei Berliner, composto da Dorian Xhoxhi e Helena Madoka Berg al violino, Kyoungmin Park alla viola e Christoph Heesch al violoncello. Solisti di grande valore le cui qualità si esaltano vicendevolmente suonando insieme.
Subito, dall’attacco dell’Allegro del Divertimento in fa maggiore KV 138 di Mozart, si sono percepite le qualità che fanno i Berliner amati in tutto il mondo e che si ritrovano anzitutto nelle qualità del suono, pulito, pieno, caldo, anche quando brillante, negli equilibri tra le parti, in particolare nelle rese dei pianissimo e nelle agogiche in genere, per intese dialogiche sopraffine. Se Mozart è stato eseguito divinamente, amabile l’Andante e delizioso il Rondò finale, non da meno è il Quartetto in do maggiore op. 76 n. 3 “Imperatore” di Haydn, il padre di questa forma; una composizione che segna l’apice dei suoi esiti con questo organico ed è celebre per utilizzare, come tema del secondo tempo, la melodia dell’inno che fu prima austriaco, poi tedesco: Gott erhalte den Kaiser, dello stesso Haydn. Pieno, quasi sinfonico nella lettura dei Philharmonic String Quartet, beato nella resa compiuta di giochi armonici e melodici ora vezzosi, ora inquieti, modelli di forma.
Il Quartetto “delle arpe” di Beethoven, l’op. 74 n. 10 in mi bemolle maggiore, nell’uso frequente dei pizzicati da cui deriva l’appellativo, ha sigillato la convinzione nel pubblico cividalese dell’ineguagliabile affinità elettiva del quartetto tedesco. I quattro movimenti dell’opera, repentina e mutevole nelle sperimentazioni del compositore tedesco, in un periodo particolarmente produttivo quanto a musica da camera, hanno fatto capire l’intesa dell’ensemble anche nelle bizzarrie del genio di Bonn che stemperava le classiche forme, a dimostrazione di quanto musicalmente anche il lontano possa stare vicino, in virtù di dialoghi di siffatta natura. Cambi di colore, espressività auliche, contrasti, come tra lo Scherzo e il Presto, perentorio, col Trio vivace, e le Variazioni dell’ultimo movimento. Pensieri musicali diventati a Cividale del Friuli delle forme cangianti tra le mani d’oro dei Philharmonic String Quartet.
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