L'Accademia della Scala per Rota
Milano: Il cappello di paglia di Firenze diretto da Renzetti
Va preso atto che la Scala dispone di un ottimo vivaio di cantanti perché Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota affidato agli allievi della sua Accademia ha un cast di qualità, come pure un organico orchestrale dagli archi compatti e i fiati dai contorni netti. Merito anche della direzione di Donato Renzetti che ha sapientemente amministrato palcoscenico e buca d'orchestra, infondendo nerbo e leggerezza a tutta l'esecuzione. L'esito è stato più che convincente anche grazie alla brillante regia di Mario Acampa, responsabile di molti spettacoli per bambini della Scala, esperienza che gli ha regalato semplicità e umorismo. Impossibile non ritrovarsi immediatamente complici dello spettacolo e accettare le tante assurdità del libretto firmato dal compositore e dalla madre Ernesta (la E puntata che compare sulla fabbrica di cappelli Rota e fils è per lei). Acampa ha approfittato dell'ouverture per inventarsi che il protagonista venga malmenato dagli operai della fabbrica, svenga e sogni l'intera opera, per svegliarsi alla fine sotto la neve grazie a un bacio d'amore. A contribuire alla diffusa aura disincantata è anche l'elegante scenografia firmata da Riccardo Sgaramella, con una stuttura rotante che cambia i luoghi e dà così continuità a un'azione che altrimenti risulterebbe spezzettata di continuo. La presente scheda è redatta per lo spettacolo del 7 settembre, col secondo cast, del quale va citato per primo Andrea Tanzillo, un Fadinard spigliatissimo, guitto quanto basta e sicuro vocalmente, perennemente tormentato dal futuro suocero Nonancourt (Xhieldo Hyseni, basso autorevolissimo, a cui purtroppo vien richiesto un gesto di gratuita volgarità) e minacciato da Beaupertuis marito tradito (il disinvolto Chao Liu). A pari merito, al terzetto maschile si aggiungono María Martín Campos (Elena), Marcela Rahal (una baronessa spiritosissima, mezzo soprano che non fa parte dell'Accademia) e Greta Doveri (la fedifraga Anaide).
Spiace tuttavia constatare che, con tutto il rispetto per Nino Rota che ci ha regalato indimenticabili colonne sonore, l'ascolto del Cappello di paglia di Firenze alla lunga risulta deludente, è come fosse un continuo annunciare temi che subito avizziscono e s'insabbiano senza sviluppo. Già la drammaturgia è farraginosa e non regge al confronto col ritmo del teatro di Labiche, così che l'opera finisce per dare l'impressione di un patchwork musicale.
Pubblico entusiasta a fine serata, anche se la maggior parte degli spettatori davano l'impressione d'essere lì per ammirare la sala e farsi selfie durante l'intervallo.
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