La New York di Weill
Street Scene al Teatro Real di Madrid
Dopo l’allestimento precedente di Dead Man Walking, prosegue il viaggio americano di questo periodo del Teatro Real di Madrid, con la proposta dell’opera/musical, Street scene, che Kurt Weill compose, pensando a Broadway. Ma proprio per il suo carattere ibrido, senza dubbio più di opera che di musical, dopo il suo debutto nel ’47, il titolo non tornò più sul palcoscenico newyorchese, pur ottenendo all’epoca i più prestigiosi riconoscimenti. Il lavoro riesce a coniugare in un flusso musicale continuo diverse lingue musicali, cosa che del resto il musicista tedesco sapeva fare con estrema perizia e gusto: il blues, il jazz, temi e danze popolari ma anche citazioni operistiche. In quest’operazione Weill non si scrolla completamente di dosso l’eredità espressionista, che aveva sviluppato nel teatro brechtiano, i cui echi si fanno sentire specialmente nel gusto melodico e nell’uso scaltro di materiali della musica leggera del tempo. In egual misura, dall’eredità berchtiana, sembrano scaturirei contenuti di forte critica sociale del capitalismo, propri del libretto di Langston Hughes tratto dal dramma di Elmer Rice, che emergono prepotentemente come temi incredibilmente attuali: disagio sociale, sfratti, immigrazione, violenza di genere. In epoca di trasposizioni registiche più o meno disinvolte di libretti d’opera, questa volta però, pur in presenza di tematiche che potrebbero in qualche modo trovare un legame con la contemporaneità, la regia si orienta verso una sorta di ricostruzione filologica, quasi iperrealistica, nell’ambientazione e nei costumi, della New York dell’epoca: una grande struttura fatta di tubi, ringhiere, scale, scalette e vari anfratti che ricostruisce mirabilmente l’universo di un caseggiato/alveare di un quartiere popolare della Grande Mela. Una struttura che di volta in volta si apre in due, lasciando spazio alle azioni di gruppo e alle coreografie, facendo intravedere sullo sfondo le luci e le silhouette dei grattacieli di Manhattan. Spettacolo avvincente e godibilissimo, giocato su un ritmo serratissimo dell’azione teatrale ed una cura quasi maniacale di dettagli, nei movimenti e nei gesti di ogni personaggio presente sulla scena; altrettanto precisa e attenta al ritmo la direzione musicale di Tim Murray, a gestire con notevole disinvoltura, orchestra, masse corali - compresi i bravissimi bambini - canzoni, duetti, concertati di un cast numerosissimo. Un cast di interpreti che sanno coniugare capacità di muoversi sul palcoscenico, danza e canto: perfettamente a loro agio vocalmente quindi i quattro protagonisti, Paulo Szot a impersonare il torbido Frank Maurrant, Joel Prieto nei panni dell’ingenuo idealista Sam Kaplan, sicuramente da segnalare una Patricia Racette incisiva e drammatica nel ruolo di Anna Maurrant e una precisa e delicata Mary Bevan a interpretare il personaggio della figlia Rose.
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