Secondo ed ultimo titolo operistico del Festival Verdi 2002, "La forza del destino" - che chi scrive ha seguito con il cast della prima rappresentazione - è andata in scena al teatro Regio di Parma riscuotendo un buon successo di pubblico. Lo spettacolo godeva di un impianto scenico studiato per essere utilizzato per le due nuove produzioni realizzate per questa edizione del Festival, mantenendo dunque alcuni elementi dell'Alzira, primo titolo in cartellone. Una scelta che ha avuto il pregio - oltre ad una funzionale ottimizzazione delle risorse - di legare le due opere attraverso un'unica atmosfera, caratterizzata dagli sfondi neri e dalle grandi colonne quadrate di identico colore che, nelle varie disposizioni che assumevano di volta in volta sul palcoscenico, variavano spazi e luoghi, senza mai dare l'impressione di una monotona staticità d'ambientazione. Uno sfondo neutro, in sostanza, su cui la regia di Alberto Fassini e gli elementi scenici ideati da Mauro Carosi hanno saputo ricostruire i quadri rievocati dal libretto di Piave, restituendone i rimandi più caratteristici grazie ad un equilibrato e sostanzialmente efficace uso simbolico degli elementi scenografici. In questo senso, il risultato migliore è stato ottenuto nel secondo quadro del secondo atto. Qui la spoglia facciata grigia e scrostata del convento - con la grande porta da un lato e un lineare crocifisso dall'altro - fungeva da sfondo al dialogo tra Leonora e il Padre Guardiano, sostenendo uno dei momenti più intensi dell'intero dramma attraverso una cornice visiva allo stesso tempo sobria ma ben caratterizzata e presente, per poi sciogliersi nello scuro interno di una chiesa, dove sullo sfondo si ergeva un altare dorato, diretto rimando ideale al dipinto che avrebbe ispirato allo stesso Verdi la composizione de "La Vergine degli Angeli". Di contro, le scene di massa abitate dal popolo che intride quest'opera proponevano articolati movimenti, specie nei momenti coreografici, ravvivati dai colori dei funzionali costumi di Alessandro Giammarughi. La direzione musicale, affidata alla bacchetta di Gyorgy Gyorivanyi Rath, dopo una sinfonia senza troppe sfumature ha trovato un buon equilibrio tra palcoscenico e buca, riuscendo ad indirizzare la giovane orchestra del Regio verso un adeguato impasto timbrico, anche in occasione dei robusti interventi del coro, preparato dall'impegno di Martino Faggiani. La compagine vocale denunciava qualche ombra nell'Alvaro di Alberto Cupido la cui vocalità, profusa generosamente ma imprecisa, poco si adattava in questa occasione al personaggio. Più efficace la Leonora tratteggiata da Norma Fantini la quale, più che nel timbro, vantava qui il proprio pregio nella particolare attenzione al fraseggio, e il Padre Guardiano misurato di Carlo Colombara. Da citare ancora Fabio Previati nei panni di un Fra Melitone che non ha ceduto alla caricatura, la Preziosilla non troppo esuberante di Mariana Pentcheva e il Don Carlo di Stefano Antonucci, che ha dotato il suo personaggio di un sostanziale equilibrio dall'inizio alla fine, un dato che - in un'opera come questa - non è affatto trascurabile. Del successo di pubblico si è dato conto in apertura, mentre vale la pena sottolineare come l'atteggiamento meno aggressivo, rispetto allo scorso anno, di quella frangia di pubblico locale più intransigente pare dimostrare che, in fin dei conti, un Festival Verdi annuale qui a Parma lo vogliono un po' tutti.
Note: Nuovo allestimento
Interpreti: Svab, Fantini/Rezza, Antonucci/Hyoun, Cupido/Pulzelli, Pentcheva/Rinaldi, Colombara/Silvestrelli, Previati, Storti, Piccinni, Feltraccio, Farnesi
Regia: Alberto Fassini
Scene: Mauro Carosi
Costumi: Alessandro Giammarughi
Coreografo: Marta Ferri
Orchestra: Orchestra del Teatro Regio di Parma
Direttore: Gyorgy Gyorivanyi Rath
Coro: Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro Coro: Martino Faggiani