La dama di picche in camicia di forza
Interpreti eccezionali riscattano una Dama di picche, discutibile per le scelte del regista Lev Dodin. Eppure, è un trionfo grazie a Vladimir Galouzine, Hasmik Papian e Ludovic Tézier.
Recensione
classica
Questa produzione de La dama di picche di Bastille lo conferma. Si può essere perseguitati per circa tre ore e mezza da un vago senso di fastidio, pur convinti di essere di fronte ad un bellissimo spettacolo, musicalmente avvincente. Le ragioni del fastidio sono duplici. Innanzi tutto, l'opera di Chaikovski è fortemente rimaneggiata. Vi han messo le mani il regista Lev Dodin con l'ausilio di Vladimir Jurovski, trasformandola sensibilmente: nel secondo atto, non arriva l'imperatrice Caterina II, ma la contessa; l'intermezzo sempre del II atto è cantato da Hermann, Lisa e dalla contessa: l'idea è interessante, ma tali grandi voci drammatiche si ritrovano ad essere accompagnate da un modesto effettivo strumentale.
Inoltre, si è perennemente disturbati dalla regia. Dodin, tanto nel testo quanto nell'azione, sposta tutto in un ricovero psichiatrico. Hermann vi è sin dall'inizio. E il suo letto – desolante, di ferro, tipico degli ospedali – campeggia sulla scena ininterrottamente. Certo, l'ossessione di Hermann per il gioco può essere considerata una forma di psicosi, ma l'idea non è nuova e potrebbe essere ripescata per la quasi totalità degli eroi e delle eroine del melodramma ottocentesco. Soprattutto, gli interventi sul testo e le scelte registiche non solo non apportano nulla alla comprensione dell'opera, ma anzi ne impediscono la comprensione: per seguire la produzione di Bastille, bisognava conoscere bene La dama di picche, quella originale.
Eppure, si diceva, lo spettacolo si è rivelato memorabile. Chi ha compiuto il miracolo? Non certo il direttore, Gennai Rozhdestvensky, ordinario, a tratti confuso e in grande imbarazzo a tenere insieme orchestra e coro. È stata la troupe a riscattare l'opera. Vladimir Galouzine (Hermann) è stato semplicemente superbo. Hasmik Papian (Lisa) si è distinta per un'elegante potenza e Ludovic Tézier (Il principe Eletski) per un'estrema sensualità. Per altro, non finisce mai di sorprendere Tézier a suo perfetto agio in ogni genere lirico. Va reso il giusto merito alle scelte delle luci (Jean Kalman) calde e allusive dei toni nordici; pure convincenti sono parse le scene (David Borovski).
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