La bellezza di Rock Bottom brilla ancora
A Piacenza la North Sea Radio Orchestra con John Greaves e Annie Barbazza ripropone il capolavoro di Robert Wyatt
La voce di Robert Wyatt è come un mistero, o un segreto indicibile. Solo chi sa, solo chi ha tremato di fronte a una bellezza così fragile e al tempo stesso monumentale, fa parte della cerchia: non un cantante classico, dotato di vocalità, estensione, tecnica, ma una angelo caduto capace di dire ed elevare a poesia gli spaesamenti, le nostalgie, gli errori e le piccole gioie.
Ricordo una maglietta di David Byrne: I’m only visiting this planet; ecco, è proprio questa sensazione di precarietà che si fa elegia, di blues intimo che abita le vene, di malinconica allegria che rende uniche le composizioni dell’adorabile barbuto di Bristol, che è stato capace di mettere in musica la caduta in modo semplicemente perfetto. Rock Bottom vede la luce, una luce che si fa strada tra ombre e nebbia, nel luglio del 1974; nel giugno del 1973, precipitando dal terzo piano dell’appartamento di un’amica durante una festa, Wyatt si spezza la spina dorsale e resta paralizzato.
Dopo i fasti liberi e furiosi dei primi quattro imprescindibili dischi dei Soft Machine e dopo i Matching Mole, si apre un nuovo scenario, e il sipario della vita che verrà, per l’ex batterista e fondatore di uno dei gruppi più importanti della scena di Canterbury, si alza regalando al pubblico un capolavoro, un disco di canzoni che, ancora dopo 44 anni, non hanno accumulato un’unghia di polvere.
Il folto pubblico accorso per il concerto al Conservatorio Nicolini di Piacenza, che ha il sapore dell’evento (è palpabile l’emozione in sala dei presenti ed è molto wyattiana la presenza di una fila di – suppongo – studenti del conservatorio giapponesi che da seduti si muovono ondeggiando la testa e tentando qualche breve coreografia) ha dunque l’occasione per tirare fuori dai cassetti del cuore questa collana di perle ed infilarsela addosso ancora una volta: la voce di Wyatt non la potremo sentire dal vivo, Robert è da tempo immemore dedito a vita ritirata, ma stasera il parterre è decisamente de roi.
Apre il concerto infatti John Greaves, che, oltre ad aver partecipato a molti dischi di Wyatt, in molti ricordiamo per Henry Cow. Greaves ha un rapporto privilegiato con la città, tanto da averle addirittura dedicato un disco nel 2015 (Piacenza, su etichetta Dark Companion). E lo fa in duo con la bravissima Annie Barbazza, che a soli 25 anni dimostra già una personalità davvero notevole. Tre canzoni, tra cui "Kew Rhone", splendide, oblique, di una pulizia da architettura greca, sorprendenti e cantabili, l’ennesima dimostrazione che è possibile fare arte popolare senza essere populisti. Poi, finalmente è il turno della North Sea Radio Orchestra, un settetto ad assetto variabile (l’unico membro fisso è il fondatore, chitarrista e compositore Craig Fortnam), che per l’occasione e per tutto il tour europeo porterà con sé anche uno studente del conservatorio di Piacenza, il percussionista Tommaso Franguelli.
Chi scrive solitamente è un po’ scettico (eufemismo) nei confronti dei tributi, ma in questo caso la interpretazione dei pezzi è così viva, personale e potente da fugare ogni velleità da criticone. Da "Sea Song" a "Maryam", un nitido gioiello pop che guarda il treno del mondo passare sul binario di un 7/8, ad "Alifib", che si apre con un soffio, un sussurro, come una onirica onomatopea. Arrangiamenti che esaltano la natura sinfonica delle composizioni di Wyatt, code burrascose, dinamiche spesso e volentieri a indugiare sul piano e in generale una delicatezza e un tocco che emozionano. "Caroline" fa partire l’applauso del pubblico subito, poi un finale che sa quasi di raga indiano à la Steve Reich, il bis con la gente che si alza alla fine, questi applausi scroscianti sono anche per chi è lontano e ci ha saputo colpire così bene e così dentro, accarezzando il nostro dolore, il nostro modo di intendere la bellezza in musica: una serata preziosa, a cui era necessario e importante esserci.
Nonostante tutti i nostri secoli sulle spalle, nonostante le macchine durissime, altroché molli, nonostante il cielo che in quest’epoca grigia minaccia ogni giorno di crollare, nonostante la sconfitta che ci portiamo dentro, siamo ancora capaci di brividi e custodiamo in petto un pugno di canzoni da cantare.
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