L'opera prima di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice (le premiate fabbriche del Musical hanno sempre due grandi nomi in ditta) è un musical atipico sia perché concepito per le scuole sia perché è un musical che fa il verso a se stesso, eludendo con impertinente spirito di divertimento il "politicamente corretto" tipico del romanzo popolare in musica. "Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in technicolor" (si direbbe un titolo della Wertmüller) nasce infatti in clima goliardico come pièce ad uso degli studenti anglosassoni e oggi corre il mondo con legittimo successo (e comprensibile soddisfazione della multinazionale webberiana) proprio perché certa parodistica freschezza, certa giocosa e burlesca esuberanza e in fondo certa felicità d'invenzione così come affiorano in "Joseph", la storica coppia di autori non ha forse più uguagliato. Nemmeno nei lavori più celebrati. Vedere e ascoltare per credere -quando la lucchese Rockopera, produttrice dell'edizione italiana, lo farà girare- questo "Giuseppe", raccontato in scena con energia, ritmo e fantasia dal sorprendente collettivo toscano e messo in scena al Teatro del Giglio, con strepitoso successo e standing ovation finale, da Claudio Insegno. Italiani brava -anzi bravissima- gente (vien da dire, parafrasando un vecchio film) quando gli italiani -s'intende i professionisti veri che sul palcoscenico spremono fin l'ultima goccia di forze e di sudore- affrontano il musical. Bravi, anzi bravissimi, Simone Giusti che ha curato lo smagliante coté musicale in orchestra, Pierguido Bertini che ha istruito cori impeccabili per intonazione e spessori sonori, lo scenografo, la costumista, il light designer, capaci di cavare da poco, in poco spazio, un piccolo kolossal, in cui trasgressivamente scorre la parabola biblica di Giuseppe, tradito dai fratelli e tratto schiavo in Egitto, dove lo salverà il dono della veggenza e quello di sognare e d'interpretare i sogni. Il tutto nell'ottica di una piramidale Parodia (non vi sono dialoghi parlati in questa storia affidata al canto di una "narratrice", qui una deliziosa e musicalissima Lighea, parodia esaltata dalla gustosa citazione, come l'esilarante numero "alla francese", anzi "alla Brel" con il rimpianto dei fratelli che sfocia quasi in un "tango di gigolo", o come la citazione di Belafonte. Per non dire della caratterizzazione del Faraone calato in una caricaturale copia di Elvis (qui un inedito Ivan Cattaneo). La regia di Insegno e le trascinanti coreografie di Sadia Salvadori intrecciano, con abilità e mano lieve, ironia e grottesco; il che accentua l'effetto intenso di un pezzo come quello di Joseph fra le sbarre del carcere, che sgusciando all'improvviso dalla parodia, insinua un brivido di emozione nel farsi ambiziosamente canto di dolore e di speranza per la "terra promessa", e che Antonello Angiolillo intona con splendida vocalità e con un temperamento degno dei grandi palcoscenici del musical. Nella sua interpretazione non impressionano solo presenza e versatilità: colpisce anche il senso della leggerezza e dell'umorismo. Insomma un talento "comico" completo. Ma a vincere ed a coinvolgere alla fine il pubblico è l'intera squadra. Strameritati quindi i quasi venti minuti di acclamazioni lungo una "coda" di bis, che in tournée converrà forse ridurre un poco.
Interpreti: Antonello Angiolillo, Lighea, Ivan Cattaneo
Regia: Claudio Insegno
Scene: Francesco Scandale
Costumi: Carlotta Polidori
Corpo di Ballo: Fabrizio Checcacci, Vittorio Ciucci, Stefano Di Gangi, Alessandro Gepponi, Matteo Giusti, Michele Goberti, Alessandro Lanzillotti, Edoardo Luttazzi, Gianluca Merolli, Agostino Pedrini, Federico Perrot
Coreografo: Sadia Salvadori
Orchestra: Andrea Spinetti batteria, Matteo Sodini percussioni, Fabrizio Bertolucci basso, Giampiero Morici chitarre, Daniele Giuntoli pianoforte, Francesco Mariani tastiere, Massimiliano Salani tastiere, Massim
Direttore: Simone Giusti
Maestro Coro: Pierguido Bertini