Ipnotizzati da Prêtre
La Scala festeggia i 91 anni del maestro francese
Recensione
classica
La serata della Filarmonica della Scala per vesteggiare i novantanni più uno di Georges Prêtre (impedita lo scorso anno dalla rottura del femore) è cominciata ed è terminata con una interminabile e affettuosa standing ovation dopo il Can Can offerto dal direttore come bis. La presenza del maestro francese ha avuto un valore aggiunto fuori dal comune e fa specie che qualcuno (torcendo il naso) non abbia voluto capire che era venuto il momento di restituire in parte quanto lui ha dato alla Scala in tanti anni di amicizia.
Il teatro era pieno come non mai, in sala non le solite facce, tant'è che sono scattati gli applausi quando sono apparsi i primi strumentisti sul palco, un gesto di buona educazione non consono agli abbonati. Il programma, un po' scompaginato per non sottoporre Prêtre a una eccessiva fatica, è stato aperto con "Egmont", che ha sùbito chiarito di quanta energia e lucidità disponga ancora il maestro. Dopo di lui è subentrato Rudolf Buchbinder, solista e direttore, che ha eseguito il Terzo concerto per pianoforte di Beethoven. Esecuzione non memorabile, come spesso capita quando i due ruoli si sommano perché i problemi di coodinamento finiscono per favorire una meccanica rigidità. Bene di fatto Buchbinder da solo per la "Parafrasi del Rigoletto" di Liszt, in apertura della seconda parte della serata. Dopo di che Prêtre ha ripreso il podio per la Barcarola dei "Racconti di Hoffmann", dando prova del suo potere quasi ipnotico perché ne ha fatto una lettura esemplarmente analitica (la sua mano sinistra parla per lui) ma soprattutto ricca di qualcosa di misterioso: forse malinconia, forse rimpianto, forse piacere della memoria, in questi casi il vocabolario risulta improprio. In chiusura poi Il "Bolero" di Ravel, atteso come prova di eterna giovinezza del direttore e che l'ha confermata.
Una piccola notazione. Prêtre dirige seduto, ma quando si alza in piedi nei momenti in cui è necessario maggior vigore, rimane quasi immobile. A scatenare la dinamica necessaria basta che lui si metta sull'attenti.
Il teatro era pieno come non mai, in sala non le solite facce, tant'è che sono scattati gli applausi quando sono apparsi i primi strumentisti sul palco, un gesto di buona educazione non consono agli abbonati. Il programma, un po' scompaginato per non sottoporre Prêtre a una eccessiva fatica, è stato aperto con "Egmont", che ha sùbito chiarito di quanta energia e lucidità disponga ancora il maestro. Dopo di lui è subentrato Rudolf Buchbinder, solista e direttore, che ha eseguito il Terzo concerto per pianoforte di Beethoven. Esecuzione non memorabile, come spesso capita quando i due ruoli si sommano perché i problemi di coodinamento finiscono per favorire una meccanica rigidità. Bene di fatto Buchbinder da solo per la "Parafrasi del Rigoletto" di Liszt, in apertura della seconda parte della serata. Dopo di che Prêtre ha ripreso il podio per la Barcarola dei "Racconti di Hoffmann", dando prova del suo potere quasi ipnotico perché ne ha fatto una lettura esemplarmente analitica (la sua mano sinistra parla per lui) ma soprattutto ricca di qualcosa di misterioso: forse malinconia, forse rimpianto, forse piacere della memoria, in questi casi il vocabolario risulta improprio. In chiusura poi Il "Bolero" di Ravel, atteso come prova di eterna giovinezza del direttore e che l'ha confermata.
Una piccola notazione. Prêtre dirige seduto, ma quando si alza in piedi nei momenti in cui è necessario maggior vigore, rimane quasi immobile. A scatenare la dinamica necessaria basta che lui si metta sull'attenti.
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