C'era attesa per la prima assoluta, al Valli di Reggio Emilia (coproduzione con la Scala di Milano) di "Il processo", primo lavoro di teatro musicale di Alberto Colla e, soprattutto, opera nuova affermatasi, al termine di una selezione in più fasi, nel concorso indetto dal Comitato per le Celebrazioni Verdiane. Colla, trentaduenne di Alessandria, si presentava con un pedigrée di tutto rispetto, tanto nell'apprendistato quanto nella numerosa ed autorevole serie di affermazioni in altri concorsi, in particolare destinati al grande organico sinfonico: quest'ultimo è stato senza dubbio padroneggiato assai bene, in questa ampia partitura (due ora senza intervalli), per articolazione, ricchezza e densità di scrittura; anzi, è possibile dire che fosse lo strumentale a costruire il nucleo drammaturgico del lavoro, articolato in sette scene (e due fuoriscena, risolti in realtà - come gli interludi sinfonici - con un ritaglio anteriore della scena) senza soluzione di continuità. Scelte di materiali e di paletta timbrica erano condotte secondo un piano già progettato da tempo dall'autore, anche rischioso nell'esposizione temporale dei tasselli timbrici (col primo piano frequente di ottoni e percussioni, ma anche coll'assottigliamento ottimamene giocato e veramente seducente in varie sezioni), però impegnato a trarre il massimo partito da un'orchestra sfaccettata nei particolari di scrittura sonora e da un montaggio ben integrato di figure pure stilisticamente molteplici, nei riferimenti sia linguistici sia stilematici (aggregati tonali e non, ritmi foxtrot e alla Weill...). La pregnanza degli interludi sinfonici, nei quali Josef K. è in preda ai suoi incubi destinati a materializzarsi nelle scene fatte scattare da una tagliente voce registrata, è un indice della riuscita sinfonica della partitura, quanto è un indice però dello scalino che crea con la scrittura vocale: lineare, da "giovine scuola", tendenzialmente sillabata, comunque assai meno articolata della strumentale, ha forse pagato un debito di intangibilità nei confronti del testo, montato in libretto dallo stesso autore. Il confronto con il romanzo di Kafka, condotto tra l'altro a partire dalle sue traduzioni italiane, non era certo comodo, e la soluzione di Colla - forse un tentativo di preservarne la percezione? - l'ha ingabbiato in uno schema pericolosamente "realistico", entrato in cortocircuito nel momento in cui la semplicità della corda di recita ha dovuto sostenere i più metafisici assunti conclusivi, e superato solo in alcuni momenti di differente vocalità. Nonostate i problemi di rappoto col testo, il progetto drammaturgico di Colla aveva una sua struttura - e anche una precisione di soluzioni già date - che regista (Daniele Abbado) e curatori di scene e costumi (Giovanni Carluccio e Nanà Cecchi) hanno ben assecondato senza forzare, articolando la scena attraverso pannelli e praticabili semovibili. Pur non ardua, la parte vocale ha richiesto una preparazione e una qualità intrinseca delle voci che si è dimostrata ottima, con menzioni speciali per l'impegno riservato al protagonista, sempre in scena (George Mosley), e ad alcuni ruoli attribuiti, anche per precisa scelta simbolica, ad un solo esecutore, come la Doina Dimitriu degli amori-illusione di Josef K.; assai bravi, comunque, anche gli altri (Paolo Rumetz, Annie Vavrille, Ezio Di Cesare, Nicola Ulivieri, Enrico Iori, Lorenzo Muzzi, Gregory Bonfatti), così come il Coro "Merulo" guidato da Martino Faggiani. Encomiabile, infine, l'orchestra (la Sinfonica della Fondazione "Toscanini"), che con Enrique Mazzola ha svolto un ottimo lavoro sul cuore reale della partitura, gratificata infine - come protagonisti ed autori dello spettacolo - dal caloroso apprezzamento di un pubblico numeroso.
Interpreti: Antoniozzi, Rumez, Vavrille, Di Cesare, Ulivieri, Iori, Muzzi
Regia: Daniele Abbado
Scene: Giovanni Carluccio
Costumi: Nanà Cecchi
Orchestra: Orchestra Sinfonica dell'Emilia Romagna "Toscanini"
Direttore: Enrique Mazzola
Coro: Coro Merulo di Reggio Emilia
Maestro Coro: Martino Faggiani