Impressioni dallo Sziget

Un racconto dal gigantesco festival di Budapest

Recensione
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Sziget, l’isola della libertà: questo è il motto che figura sulla prima pagina del passaporto virtuale che ogni visitatore, uguale se pagante o meno, riceve assieme al bracciale – o ai diversi bracciali – all’entrata dell’isola di Obuda nella periferia nord di Budapest.
Certo l’idea di libertà ognuno la può interpretare a modo suo.

Giovani venuti da tutta Europa – prevalentemente Olanda e Francia – ma non solo (ci sono anche diversi asiatici) mostrano già nel primo pomeriggio i segni dell’alcool. Sono ammassati in accampamenti. Chi scrive non hai mai visto un numero più intenso di tende per metro quadrato e si chiede come ritrovare la propria alla fine della nottata.
I più esigenti, o meglio coloro che hanno il diritto di accedere alla zona vip, possono forse bighellonare con più libertà.

L’importante e consumare. O meno drastico: divertirsi consumando. E anche se l’isola è della libertà, riproduce tutti i meccanismi che vigono anche al di fuori. Per una modica cifra ci si può addirittura sposare “virtualmente”. E per la prima volta, mi racconta allibito un gruppo di ragazzi olandesi che viene a Sziget per il terzo anno consecutivo, il Mcdonald ha un suo stand gastronomico sull’isola.
Con security onnimpresente e polizia quasi assente a Sziget tutto funziona alla perfezione. I concerti cominciano in orario, una scheda ricaricabile obbligatoria permette di consumare ovunque senza contanti. I soldi a Sziget non valgono, almeno quelli veri, ma ogni volta che si ricarica la propria scheda si paga una minitassa di 100 fiorini – 30 centesimi di euro circa – e se si moltiplica per il numero di visitatori e le eventuali ricariche escono cifre da capogiro. A proposito, nel comunicato stampa del 14 agosto 2013 l’organizzazione ha comunicato che 362 mila visitatori (Szitizens nel gergo dell’Isola) hanno preso parte al festival.

I locali trovano che Sziget sia un evento per gli stranieri. I biglietti giornalieri da 50 euro in Ungheria non sono alla portata di tutti, anzi. C’è chi chiede l’elemosina all’entrata con cartelli con su scritto “Please some money for the ticket”, chi è più ingegnoso cerca di vendere limonata fatta in casa facendo però presente che il ricavato verrà investito nel biglietto. Altri acquistano il braccialetto che consente di superare il ponte dell’isola dai bagarini che possono vendere a prezzi concorrenziali avendo comprato in prevendita a prezzi vantaggiosi.

Sull’isola musicalmente parlando c’è di tutto. Anche la classica, seppure in dosi omeopatiche: ogni giorno un’ora di seminario di canto lirico offerto ai visitatori dai cantanti dell’Opera di Budapest. Per il resto, dalla techno alla musica popolare non manca nulla. C’è persino una tanchaz (casa del ballo), una costruzione in legno a forma di tendone dove poter imparare i balli popolari dell’Ungheria e delle minoranze ungheresi degli stati limitrofi. L’apertura del festival è stata proprio nel segno della musica popolare. Il gruppo dei Muzsikas ha celebrato il suo quarantesimo anniversario in un lungo concerto in cui ha invitato numerosi ospiti, tra cui diversi “informatori” da cui i musicisti del gruppo avevano appreso il loro repertorio negli anni Settanta, quando giravano tra villaggi e campagne magiare alla ricerca di una musica che sembrava dimenticata e perduta, ma anche ospiti internazionali come Wowen Hand e Alexander Balanescu o il celebre gruppo ungherese di percussioni Amadinda.

In realtà questo non è stato proprio l’inizio del festival, ma una sorta di giorno 0, preceduto addirittura da un giorno –1 con un grande concerto sul palco centrale in memoria del cantautore ungherese László Bódi in cui sono intervenuti i cantanti e i gruppi ungheresi più importanti degli anni Ottanta. In queste due occasioni il pubblico locale e quello internazionale venuto apposta per Sziget si è mischiato.

Tra i concerti degli headliner il più toccante è stato quello di Nick Cave & The Bad Sees, già nella prima giornata ufficiale di festival. Belle anche le performance di Regina Spektor e dei !!!. Ma le cose più interessanti – quelle per cui vale veramente la pena di venire al festival, gli headliner in tournée tanto suoneranno anche in tanti altri festival estivi sparsi per il mondo – si sono potute ascoltare sui piccoli palchi, soprattutto quello dedicato alla musica rom, con gruppi non solo ungheresi, o nella tenda ungherese che ha rappresentato un’ottima opportunità per conoscere l’interessante e ricca scena underground locale. È questo il paradosso di Sziget, dove sconosciute band locali possono convivere con star globali come David Guetta, che ha chiuso accompagnato da uno show pirotecnico l’edizione del 2013.

Relegato nell’angolo sud dell’isola c’è il palco Puglia Sounds – Mambo Stage. Il Puglia Village, viene chiamato anche così, è un po’ fuori mano, bisogna andarci appositamente e non è tra i più frequentati, ma già dal primo pomeriggio propone concerti di band pugliesi. La regione Puglia ha portato a Sziget più di 20 gruppi. Questo progetto è stato invitato a Sziget per il secondo anno consecutivo. Ed è significativo del lavoro di divulgazione culturale che la Puglia ha incrementato negli ultimi anni e che ha già fatto parlare – anche in questo giornale – di modello.

Intrigante e ricco il programma del palco dedicato alla world music. Concerti purtroppo poco frequentati del gruppo funk-maori neozelandese Moana and the Tribe e dei polacchi Warsaw Village Band o degli ucraini Dakhabrakha hanno aperto il programma nel primo pomeriggio. La band polacca ha preso il tutto con leggerezza sottolineando che almeno in questo modo avrebbe suonato per un pubblico riconoscibile e non per una massa anonima. Sullo stesso palco hanno invece ricevuto ampio successo i concerti della seconda serata, come quelli dei bosniaci Dubioza Kolektiv o di Rachid Taha, dei Calexico e di Emir Kusturica & The No Smoking Orchestra, che – sorta di censura casuale – ha provocato il blackout proprio durante il pezzo “Fuck MTV”.

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