Il traballante mondo della Marescialla

Berlino: fortunata ripresa del Rosenkavalier con la regia di Homoki

Der Rosenkavalier (Foto Monika Rittershaus)
Der Rosenkavalier (Foto Monika Rittershaus)
Recensione
classica
Berlin, Komische Oper
Der Rosenkavalier
08 Giugno 2019 - 23 Giugno 2019

In una primavera che vede i titoli scenici di Richard Strauss diffusamente presenti in vari teatri europei, la Komische Oper riprende un suo fortunato allestimento di Der Rosenkavalier; la sala teatrale è la più raccolta delle tre maggiori berlinesi, e il palcoscenico il meno ampio: la regia di Andreas Homoki enfatizza tali dimensioni, muovendo i personaggi in uno spazio ulteriormente ritagliato al boccascena da un arco scenico di fattura neoclassica, semplice quanto monumentale. Il senso di affollamento cresce perciò di atto in atto, ma il caos che episodicamente genera è intenzionato, teatralmente efficace e congeniale alla lettura registica: ogni atto fa segnare una progressione storico-temporale, che dall’epoca della mimesi – prima metà del Settecento – salta all’epoca degli autori (d’altronde, è nel 2° atto che nobiltà e alta-borghesia s’intrecciano sulla scena con la comparsa dei Faninal…), e infine nel ventesimo secolo tra le due guerre, con elementi rifluenti dagli atti precedenti. Nel mezzo, a secondo atto inoltrato, l’arco e tutto il palcoscenico s’inclinano come nave destinata al naufragio; l’equilibrio precario di interpreti e mobilio sfocia nel 3° atto in un vero e proprio rovesciamento: quinte e fondali sono sottosopra, le porte appaiono  sfondate, i mobili sono sinistrati, ma verranno sgombrati prima del finale, quando la scena sarà ancor più vuota che all’inizio, allorché era occupata dal letto della passione tra Marescialla e Octavian. Ė evidente che a Homoki interessa stratificare, al di sopra del discorso sul tempo esistenziale e psicologico che permea il capolavoro di Hoffmanstal e Strauss, anche un piano riguardante il tempo storico-sociale: la Marschallin non è solo una donna che ha la coscienza della profondità verticale e dell’inesorabilità direzionale del tempo (soltanto un miracolo, come l’incontro tra Sophie e Octavian, può congelarlo), ma è pure la ‘Maria Theresia’ asburgica, in crinolina perfino antiquata rispetto agli anni degli eventi; della dimensione borghese del 2° atto s’è detto, mentre nel 3° i famuli che assillano Lerchenau come “papà” somigliano un po’ a giovanissimi attivisti proletari. Il sovrapporsi dei piani comunque non stride, e le soluzioni registiche – soprattutto nel 2° atto – sono brillantissime ed encomiabili per l’effetto di studiato affollamento che creano (ad es., nella curiosità generale per l’arrivo del cavaliere, vista dal lato di un’euforica servitù).

Brillantissimi anche i principali interpreti vocali:Johanni van Oostrum è una Marschallin intensa, corposa e morbida nell’emissione, sempre protesa nel fraseggio; Vera-Lotte Böcker( Sophie) si rivela estremamente duttile e sempre convincente sia negli episodi lirici, sostenuti con intensità non minore della collega, sia in quelli più tendenti al comico; nello sdoppiare queste due anime attraverso il travestimento, il ruolo diOctavian/Mariandel (Karolina Gumos) è forse meno insidioso, ma l’interprete lo realizza assai bene in ogni caso; Jens Larsen evita di calcare vocalmente troppo la figura di Lerchenau, anche perché il suo physique du rôlegli consente già di imporne il carattere sul palcoscenico, e così di plasmare con misura fraseggio e parola. Il suono dell’Orchestra della Komische Oper emerge dalla buca pastoso, con pienezza di armonici, ma ben equilibrato alle voci: merito dunque alla direzione di Ainārs Rubiķis. Sala piena, e alla fine plaudente con convinzione.

 

 

 

 

 

 

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