Il 9 febbraio 1889 al Regio Collegio di Musica San Pietro a Maiella di Napoli si rappresentava "Gina", del Primo Allievo Francesco Cilea, accolta unanimemente come la rivelazione d'un giovanissimo compositore destinato a un grande futuro. Oggi non si può non confermare il dieci e lode all'allievo Cilea, ma non si può neanche fare a meno di chiedersi che senso abbia riproporre dopo centododici anni questo saggio di conservatorio: l'autore stesso, severo con se stesso al punto di smettere di scrivere per il teatro dopo la sua quarta opera, ad appena quarantun anni, avrebbe condiviso la nostra perplessità nel vedere questo "semplice esperimento giovanile" (parole sue) riportato in scena dopo un decoroso silenzio durato per gli ultimi anni del diciannovesimo secolo e per tutto il ventesimo. Almeno, il pubblico del 1889 era entrato gratis ed era consapevole d'assistere alla prova d'uno studente, senza contare che "Gina" doveva trarre non poco vantaggio dalle dimensioni del minuscolo teatrino: invece oggi si paga e, last but not least, quest'operina appare sperduta in quell'hangar sordo e grigio che va sotto il nome di Teatro Brancaccio. Il soggetto è tratto da un vaudeville francese del 1835, che già nel 1889 avrebbe trovato la sua collocazione ideale tra le vecchie cose del salotto di nonna Speranza, talmente inutili da diventare assurde. Non si sa se l'abbia scelto Cilea o se gli sia stato imposto, ma neanche lui ci ha creduto molto e se ne è servito per un'esercitazione nello stile dell'opéra-comique, che doveva sembrargli una via di fuga dal melodramma tardoromantico italiano. Questo giovane Cilea potrebbe passare per un perfetto parigino dei boulevards: ritmi di valzer, marce e marcette, melodie lievi e spumeggianti, orchestra vivace e colorata ma mai troppo sgargiante, armonia raffinata ma lontanissima da tentazioni avveniristiche di marca wagneriana. Senz'altro i suoi modelli erano Gounod e, forse, Bizet, non certamente Verdi (né il verismo: Cavalleria rusticana era ancora nella testa di Mascagni). Ma mai che si faccia venire un'idea personale e coraggiosa! Difficilmente l'orchestra degli studenti del 1889 ha suonato meglio di quella formata dagli studenti di oggi (bravi!), ma è più che probabile che gli studenti di canto di allora abbiano surclassato i cantanti professionisti di oggi. Si sorvola sull'interprete del personaggio che dà il titolo all'opera, perché parlarne non gioverebbe a nessuno, ma non si può fare a meno di chiedersi perché tale chance non sia stata offerta a una delle tante validissime cantanti che non riescono mai a farsi ascoltare. Un po' meglio il contralto Laura Brioli, il tenore Giulio Terranova e il baritono Andrea Porta, mentre l'altro baritono Fabio Maria Capitanucci sovrastava tutti di varie spanne. Il direttore Christopher Franklyn ha dato la giusta attenzione alla già magistrale orchestrazione ma ha scelto tempi e dinamiche placidissime. Semplice ed elegante l'allestimento, proveniente da Cosenza, dove quest'opera era stata già riproposta l'anno scorso. Bastano alcune travi lignee che delineano pareti immaginarie per creare la rustica casa di Gina, mentre un acquerello ottocentesco usato come fondale rappresenta il vaporoso paesaggio. La scorrevole e pulita regia di Italo Nunziata ravviva con alcune simpatiche e ironiche trovate la scipitissima vicenda di "Gina", ma non può certo riuscire nel miracolo di farla sembrare meno anacronistica.
Note: Interpretazione vocale a cura di Regina Resnik
Interpreti: Capitanucci, Alessio, Brioli/Racamato, Terranova, Porta
Regia: Italo Nunziata
Scene: Pasquale Grossi
Costumi: Ruggero Vitrani
Orchestra: Orchestra del Conservatorio di Santa Cecilia
Direttore: Christopher Franklin
Coro: Coro del Conservatorio di Santa Cecilia
Maestro Coro: Luigi De Romanis