All'inizio del suo mandato quale direttore musicale della Royal Opera House Antonio Pappano aveva dichiarato tra i suoi propositi l'intenzione di re-introdurre la compagnia al repertorio francese, ultimamente trascurato (e non solo per incompatibilità politica). Così la sua seconda stagione vede il ritorno dell'Hamlet di Ambroise Thomas, un lavoro che nonostante avesse ricevuto un grandissimo successo a Londra nel 1869, appena un anno dopo la prima parigina, non si era visto al Covent Garden dal 1910. In generale al giorno d'oggi questo repertorio non gode di grande popolarità sui palcoscenici inglesi, e sotto questo punto di vista si è trattato decisamente di una scommessa. Ma la presente produzione ha anche riconfermato quella che sembra essere una costante nell'andirivieni delle mode operistiche e delle fortune del repertorio: spesso la popolarità di un'opera è strettamente legato al valore degli interpreti che le danno vita. E Hamlet sembra proprio un valido esempio, in quanto è un lavoro che non sembra essere stato in grado di acquisire una statura propria. Scritto appositamente per il baritono Jean-Baptiste Faure, la sua sopravvivenza nell'Ottocento era stata assicurata dalla scena della follia di Ophélie, un pezzo di bravura che costituisce l'essenza del quarto atto, e che era un cavallo di battaglia dei più celebri soprani dell'epoca, tra cui Calvè, Albani e Melba; nel Novecento il lavoro è rimasto in repertorio perché costituisce un raro veicolo per un baritono lirico di considerevoli capacità. Senza questi due cruciali elementi, il lavoro regge a fatica. Ma con un cast come quello di ieri sera, Hamlet si dimostra una toccante ed intensa esperienza teatrale. Prima di tutto l'eccezionale Ophélie di Natalie Dessay, al suo debutto londinese, non solo vocalmente perfetta, ma estremamente commovente e quasi eccessiva nella scena del suicidio. Il ruolo nevrotico e contrastato di Hamlet è fatto su misura per Simon Keenleyside, che passa con disinvoltura dal tono lirico dei momenti di intimità con Opheliè ad un registro più scuro e minaccioso. Robert Llyod è imponente nel ruolo di Claudius, e la Gertrude di Yvonne Naef quasi ruba la serata con l'arioso del secondo atto, a riconfermare l'altissimo livello di tutto il cast. Louis Langrèe è estremamente a suo agio in questo repertorio, con cui dimostra una profonda affinità, esaltando il colore orchestrale e mettendo in risalto il virtuosismo dell'orchestra della Royal Opera House. Unico punto debole la produzione di Patrice Caurier e Moshe Leiser, originata nel 1996 per il teatro dell'opera di Ginevra, che non è particolarmente audace, ed ignora la ricca tradizione interpretativa dell'originale shakesperiano prendendo alla lettera, quasi superficialmente, la versione di Carrè e Barbier. Le scene di Christian Fenouillat, due pareti mobili semicircolari che si spostano sulla scena nuda delineando i vari spazi, pur contribuendo al dinamismo del ritmo drammatico, altrimenti lento, si rivelano visualmente povere, e l'intelligente uso delle luci da parte di Christophe Forey non è sufficiente a salvare il tono della produzione, fischiata alla fine della serata.
Note: nuovo all.
Interpreti: Prince Hamlet: Simon Keenlyside; Claudius: Robert Lloyd; Gertrude: Yvonne Naef; Ophelie: Natalie Dessay; Laerte: Yann Beuron; Ghost of Hamlet's Father: Markus Hollop
Regia: Patrice Caurier e Moshe Leiser
Scene: Christian Fenouillat
Costumi: Augustino Cavalca
Orchestra: Orchestra della Royal Opera House
Direttore: Louis Langree
Coro: Coro della Royal Opera House