Il quattro fa l’Uno

Mario Brunello alla Biennale Democrazia

Recensione
classica
Ogni tanto ci si pensa, ai sistemi di potere nella classica: c’è democrazia? C’è partecipazione? C’è dialogo? C’è apertura? C’è accoglienza? Mario Brunello, vivendo nella cameristica e nella musica di insieme, presiedendo il Concorso Borciani per quartetto d’archi di Reggio Emilia, ci pensa da tempo: andando sulle Dolomiti con il suo violoncello in spalla, vestendosi con una maglietta informale, dialogando con chi ascolta prima e durante il concerto, perché a lui preme trovare nuovi curiosi sinceramente motivati, per salvare la classica.
Per questo il “Borciani” ha proposto alla Biennale Democrazia di Torino una specie di giornata del quartetto in tre tappe, partendo ieri alle 14.30 di una primavera di sole, al Teatro Carignano, con una conversazione di Brunello con la delicata e incalzante Giovanna Zucconi, che in questa partecipatissima Biennale conduce una serie di conversazioni con musicisti: prima di Brunello, Daniele Silvestri, dopo, Fiorella Mannoia. La sala del Carignano è praticamente piena. Il silenzio è partecipato e perfetto, come a un concerto che interessa. Brunello è ironico, simpatico, sta sulle sue idee: le corde del violoncello sono quattro, che è il numero perfetto; i musicisti in un quartetto sono quattro, e il quartetto è la quintessenza della condivisione democratica e armonica della musica, ciascuno rinuncia a sé per essere l'Uno che sta nel mezzo, e nessuno può dire “questo è mio”. Sono d’accordo anche i quattro del Quartetto di Cremona, che appaiono nel documentario di Antonio Marzotto, e suonano la sera dal vivo in “Garibaldi 32”, che era l’indirizzo dove abitava Paolo Borciani nel 1945, ex partigiano che cercava pezzi di violino per ricominciare a suonare tra le rovine di Reggio Emilia, e che trovò su consiglio del suo maestro tre partner per diventare il mitico Quartetto Italiano (lo spettacolo è di Alessandro Di Nuzzo e Laura Pazzaglia).
Brunello concede due Bach. Fa ascoltare quell’hitleriano chapliniano di Toscanini mentre urla «Siete delle teste di cazzo!» (sic) ai bravissimi orchestrali della Nbc. Poi chiude con “Trouble trouble”, un blues di un africanoamericano sepolto in carcere, confermando che non ci sono caste di musiche quando di fronte si trovano alcuni che sanno ascoltare e uno che sa suonare la musica come una dimensione autentica dell’uomo.

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