Il nuovo mondo di Mancuso e Petrina
Per il Festival Aperto le Nuovomondo Symphonies di Giovanni Mancuso e Debora Petrina
La cantante-pianista entra in scena guardandosi intorno come giunta su una terra nuova, mentre i tasti bianchi neri dall'altro lato intonano un tema di asciutta e sghemba solennità:lei intanto srotola mappe. Appare subito evidente come il tema del concerto sia un invito al viaggio, attraverso la lingua inventata che abita queste sinfonie in miniatura, freschi esercizi di immaginazione tra patafisica e languori novecenteschi.
Sul palco del ridotto del Teatro Valli (una scenografia sempre magnifica) Giovanni Mancuso (voce, pianoforte, strumenti accessori, video) e Debora Petrina (voce, pianoforte, strumenti accessori) creano un prodigio, tra la vertigine della scoperta, la Fernweh (nostalgia di luoghi lontani, o dove non siamo mai stati), cataloghi etnomusicologici, spezie orientali, minimalismo, rock in opposition, il nitore e l'aria che si respira in alcuni frangenti del songbook dei Beatles.
Un doppio pianoforte con acciacchi elettronici sullo sfondo è il Virgilio che ci accompagna in questo viaggio nell'altrove: i fields recordings fungono da fertile sottobosco a una rigogliosa foresta di canzoni, nel senso più ampio che volete (potete?) immaginare. A un certo punto affiora una citazione di Giant Steps di John Coltrane, prima in un arrangiamento sparso e dilatato al piano, poi da un altoparlante laterale, come venisse da un registratore in una scatola, o da un'altra stanza: suoni da altre distanze, tutto si tiene in questo blob audio-video (molto belle le immagini, poetiche e mai didascaliche) e la differenza la fa la storia di ascolti di chi siede in platea: a chi scrive alcuni obbligati serrati su cui Petrina fa fiorire il suo canto affilato e personale in idiomi di nuovi mondi fanno pensare a una versione song-oriented dei Magma, mentre in altri episodi si staglia l'ombra dispari di Steve Reich (la circolarità ritmica di alcuni moduli al piano).
Poi segnali morse, quasi trasmissioni da un tempo lontano: qui la mente corre a The Conet Project, una raccolta di suoni captati nello spazio pubblicata un po' di anni fa, qualcuno se la ricorda? Sullo schermo intanto indigeni che immaginiamo Yanomami, danzatrici che sospettiamo balinesi, geyser, danze ai piedi di un Everest, in modo che tutto cospiri a evocare quei mondi lontanissimi di cui parlava Franco Battiato.
La musica, come detto, è una lunga teoria di scintillanti prototipi di creatività, oliati perfettamente con le giuste dosi di cantabilità, ricerca, urgenza, imprevedibilità: solfeggi vocali quasi alla maniera indiana, ruggini da Diamanda Galàs folgorata però sulla via di Brodway, vulcani da cui eruttano idee libere e compiute a getto continuo; piccole percussioni, un toy piano, le tastiere sdentate e la batteria giocattolo di un bambino a video. Del resto, suonare, si sa, si dice to play, jouer, spielen.
Un'ora che ci ha riconciliato con il senso profondo di cosa può essere il pop quando abbraccia senza alcun timore l'avanguardia. Nuovomondo Symphonies è anche un disco, pubblicato dalla statunitense zOaR Records: 46 minuti di altissimo livello.
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