Il Mahler del congedo alla vita alla Fenice 

Al Teatro La Fenice Myung Whun Chung dirige la “Nona Sinfonia” di Gustav Mahler 

L'orchestra della Fenice con Chung
L'orchestra della Fenice con Chung
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice,
Myung Whun Chung 
05 Dicembre 2019 - 06 Dicembre 2019

Se al Teatro La Fenice il nome di Myung Whun Chung è soprattutto legato al teatro musicale di Giuseppe Verdi, non meno costante è l’impegno nel sinfonico e in particolare nella produzione musicale di Gustav Mahler. Del compositore austriaco con l’Orchestra del teatro veneziano Chung ha affrontato la Quinta Sinfonia nel 2017, la Seconda Sinfonia nella scorsa stagione e in questa ne aggiunge due al catalogo: la Nona e la monumentale Terza annunciata nel prossimo aprile. 

Non sembra casuale l’accostamento fra la Nona Sinfonia di Mahler e il Don Carlo verdiano, che Chung dirige in queste giornate di inizio dicembre al Teatro La Fenice. Comune sembra infatti essere il senso della fine che permea i due lavori. Un senso della fine che attraversa tutta la produzione musicale di Mahler ma che, soprattutto in questa sua sinfonia, l’ultima a essere completata, il compositore sembra esprimere in maniera netta il presentimento della fine imminente. «Il primo movimento è la cosa più splendida che Mahler abbia scritto. – scriveva Alban Berg nel 1912, l’anno della prima esecuzione postuma a Vienna – È l’espressione di un amore inaudito per questa terra, della brama di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte. Perché essa arriva senza scampo. L'intero movimento è permeato dal presentimento della morte.» 

Nell’estrema frammentazione del discorso musicale del primo movimento – che si snoda nella sequenza di cinque tempi: Andante comodo, Con rabbia, Allegro risoluto, Appassionato, Tempo I Andante – Chung sembra dar corpo a quel senso di morte, che soprattutto nella testimonianza estrema della Nona Sinfonia, è anche la morte di un’intera civiltà musicale. Segue il secondo movimento, “In tempo di un tranquillo Ländler, Un po' goffo e molto rude”, condotto da Chung con grazia popolaresca attraversata da un velo di crepuscolare malinconia. Elettrizzante il passo imposto dal direttore nel “Rondò – Burleska” del terzo movimento nell’irresistibile e nervoso incedere degli archi nel quale i soli strumentali proiettano ombre già espressioniste. E poi l’Adagio conclusivo, rasserenante e intensamente struggente, che scioglie lentamente la compatta densità degli archi nel lungo sussurro orchestrale annunciato dall’assolo sospeso del violoncello interrotto solo dal breve canto del corno inglese. E poi quel sussurro si spegne nel silenzio. È il movimento nel quale, come annotò il direttore d’orchestra Willem Mangelberg, “l’anima di Mahler canta il suo addio. Egli canta tutto il suo essere. La sua anima canta - canta per l'ultimo addio”. Chung resta per qualche minuto come raccolto sul podio, in meditazione. Poi il pubblico si scioglie in un lungo applauso. 

Un applauso caloroso rivolto prima di tutto a Myung Whun Chung, sempre più amato dal pubblico veneziano, e poi a tutta l’Orchestra del Teatro La Fenice, che, malgrado le molte inesattezze soprattutto nel primo movimento (specie dei corni non impeccabili), offre un’altra prova di grande maturità. 

 

 

 

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