Il figlio "immaginato" di Butterfly
A Liegi Puccini con la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera e la direzione di Speranza Scappucci
Una nuova produzione di Madama Butterfly che alla fine si svela più complessa di quello che potrebbe apparire a prima vista, con un primo atto molto tradizionale e i due successivi, proposti di seguito senza intervallo, che invece riservano diverse sorprese. Sopratutto nel finale dove del personaggio di Cio-Cio-San viene data una lettura completamente diversa dall’usuale, qui alla fine la ragazza si scopre in preda di un amore talmente cieco ed isterico da inventarsi l’esistenza di un figlio che non c’è. Un finale discutibile ma che funziona e illumina all’improvviso a ritroso Butterfly di un taglio interpretativo nuovo. La nuova produzione è firmata dal direttore dell’Opera di Liegi, Stefano Mazzonis di Pralafera, realizzata in collaborazione con la Fondazione Festival Puccianino Torre del Lago dove l’allestimento è stato presentato in anterprima lo scorso agosto, ed è una delle migliori regie di Mazzonis. Non manca il tocco usuale, inconfondibile, del regista, che ha uno spiccato gusto per l’effetto teatrale, che qui si concretizza nell’arrivo di un elicottero che trasporta Pinkerton, Kate e Sharpless nella nuova casa di Butterfly sulle colline, in una palazzina all’occidentale, dato che siamo nel secondo dopoguerra e il vecchio centro di Nagasaki è stato completamente raso al suolo dalla bomba atomica. Anche in questo caso, se non ci si pone troppe domande sulla verosimiglianza della nuova storia, l’espediente di spostamento temporale in avanti della vicenda non è solo d’effetto ma funzionale ad una proposta di lettura psicologica di Madama Butterfly meno romantica e più attuale, che sottolinea l’acritica fascinazione della giapponesina per tutto quello che è americano presentandola vestita, e pure con un taglio di capelli, all’occidentale anni ‘50. Su tali scene e costumi, rispettivamente di Jean-Guy Lecat e Fernand Ruiz, e su tale linea interpretiva registica si innestano la conduzione energica e accurata del maestro Speranza Scappucci, particolarmente ammirevole nelle pagine dal trasporto più lirico, e la bravura interpretativa di tutti gli interpreti. Anche per la parte musicale, bisogna avere pazienza ed aspettare gli ultimi due atti per godersi i momenti più interessanti. Il ruolo del titolo è interpretato da una specialista del ruolo, il soprano russo Svetlana Aksenova, che compensa con il piglio deciso qualche debolezza vocale e si fa comunque sempre molto apprezzare per la melodiosa soavità con cui canta le arie più celebri. Russo pure Alexey Dolgov, tenore dall’ottima dizione e voce luminosa, molto adatto alla cantabilità che richiede Puccini, che si fa notare sin dalle prime battute e riesce a far sembrare pure simpatico il suo giovane Pinkerton che si impegna spensierato in un matrimonio da operetta. Il baritono Mario Cassi poi si dona a fondo come Sharpless dimostrando la necessaria maturità interpretativa, ed il pubblico lo ben gratifica malgrado ormai la tessitura del personaggio sia un po’ troppo bassa per far esprimere al meglio la sua bella voce. Sabina Willet è, infine, una Suzuki molto attenta, anche ai giusti gesti; Saverio Fiore un Goro da Commedia dell’Arte; Luca Dall’Amico un perfetto zio Bonzo; Alexise Yerna brava attrice come Kate. Ottima la prova del coro diretto da Pierre Iodice.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
La sua Missa “Vestiva i colli” in prima esecuzione moderna al Roma Festival Barocco
A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro