Nata ad Helsinki e trapiantata a Parigi da oltre un ventennio, Kaija Saariaho, impostasi sulla scena internazionale come una delle migliori compositrici della sua generazione, vanta al suo attivo numerosi lavori pregevoli e una considerevole discografia. Il cd-rom "Prisma", che l'ha consacrata nel 2000, ha ottenuto il "Grand Prix multimédia de l'Académie Charles-Cros". "L'Amour de loin" è la prima opera teatrale di Kaija Saariaho. La commissione è scaturita dal Festival di Salisburgo (dove l'opera è andata in scena per la prima volta il 15 agosto dello scorso anno), cui ora si è associato il Théâtre du Châtelet. Il soggetto è stato scelto dalla Saariaho stessa. Il trovatore del XII secolo, Jaufré Rudel, principe di Blaya, in terra aquitana, si ritira dalla vita dissipata e canta, in un lungo poema intitolato "L'Amour de loin", le virtù e la bellezza di una donna lontana, la contessa di Tripoli, d'origini francesi, esiliata in Libano, della quale a lui riferiscono i pellegrini diretti in Terra Santa. Desideroso di incontrare la dama tanto riverita, Jaufré si imbarca per il Libano. Durante il viaggio per mare, egli cade ahimé gravemente ammalato e arriva morente a Tripoli. La contessa giunge al suo capezzale, assiste all'agonia finale del suo poeta ch'ella farà seppellire nella casa dei Templi, prima di chiudersi in un convento "pour la douleur qu'elle eut de la mort de lui". Lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, vincitore del premio Goncourt nel 1993, autore di saggi e di romanzi incentrati sulle crociate e vicini ai temi scottanti che agitano attualmente il Medio Oriente, si è visto affidare il compito di scrivere, a iniziare dal poema di Jaufré Rudel e di qualche elemento che conosciamo intorno alla vita del trovatore, una drammaturgia in cinque atti, ciascuno dei quali costituito da due o tre quadri. Il ruolo della contessa di Tripoli, Clémence, è stato magistralmente incarnato dal soprano Dawn Upshaw, ormai l'interprete fedele della Saariaho: nel 1996, a Salisburgo, ha cantato il ciclo vocale "Château de l'âme" per soprano, otto voci femminili e orchestra, e, nello stesso anno, al Festival "Modern" di Vienna, è stata l'interprete di "Lonh" (lemma in lingua d'oïl traducibile con il più moderno "de loin"), per soprano e live electronics, anch'esso su un poema di Jaufré Rudel. Il baritono Gérald Finley ha ricoperto il ruolo del trovatore e il mezzosoprano Lilli Paasikivi quello del Pellegrino che organizza l'incontro tra i due amanti lontani. Un coro maschile (i compagni di Rudel) e un coro di donne (le tripolitane), piazzate simbolicamente in altezza, a sinistra e a destra, di fronte alla scena, sono dirette da Laurence Equilbey. Alla testa dell'Orchestre de Paris troviamo il direttore statunitense Kent Nagano, che aveva guidato l'anno passato il lavoro a Salisburgo. Lo spazio scenico immaginato dal visionario Peter Sellars è occupato da due torri di vetro sulle quali si dilata una luce bluastra, evocante il mare e il cielo, il sogno, la poesia e l'amore celeste. Il trovatore sta in bilico nella sua fragile navicella, sorta di ambone di basilica medioevale. Scendendo e discendendo la scala a chiocciola del suo palazzo, rutilante di gemme e vibrante di tonalità calde, rosse e arancio, evocanti l'amore sensuale e profano dell'Oriente, la contessa scruta disperatamente il mare e canta il suo desiderio di raggiungere il proprio paese e i luoghi dell'infanzia. Le assi del palcoscenico sono coperte d'acqua a raffigurare l'oceano che separa Jaufré e Clémence e che il Pellegrino ha percorso su di una barca trasparente. L'acqua è onnipresente: sia nei giochi di luce puntati a terra e sullo schermo utilizzato come fondale sulla scena, sia nelle sonorità fluide delle arpe e dei flauti che accompagnano il viaggio di Jaufré verso l'Oriente, una progressione interiore soprattutto, dolorosa, com'è del resto ogni viaggio iniziatico. La partitura de "L'Amour de loin" è stata architettata per 81 musicisti uniti a un discreto intervento di componenti elettroniche, distribuito entro lo spazio del teatro e parte integrante dell'orchestrazione (la musica e i dispositivi informatici sono stati elaborati espressamente per la compositrice negli studi dell'Ircam, a Parigi). Le citazioni in linguaggio modale suggeriscono ora il canto del trovatore, esposto in antico provenzale, ora la melopea orientale, con la sua magia e le sue seduzioni. Il coro dei compagni di Jaufré e di Clémence, una specie di tribunale immaginario, ora inveisce contro i protagonisti, ora bisbiglia e balbetta dolcemente. Nel suo lavoro creativo e di ricerca, Kaija Saariaho accorda un'importanza primordiale ai significati personali e universali. Sono le sue personali intuizioni a permetterle d'inventare questi effetti sonori, lasciandosi innanzitutto impregnare nelle trame del poema originario, dimenticando poi tutti gli obiettivi tecnici o la tecnologia in senso lato per lasciare spazio a un'ispirazione autentica: il discorso poetico di Jaufré, nel primo atto dove l'orchestra offre profondità drammatica al testo, si dipana di volta in volta aereo, sereno e poi tormentato; poi, nel quarto atto, durante il viaggio di Jaufré, malato, un momento di sospensione estatica, ove il tempo e lo spazio marino paiono dilatarsi, squarcia il clima. La Saariaho si abbandona dunque all'esclusivo piacere di elaborare un impasto sonoro a lei proprio, dove sono riunite sottilmente sonorità vocali, strumentali ed elettroniche, in un castone sonoro orientato verso trasparenze e luci "impressioniste". Nel quinto atto, le voci dei due amanti "de loin" si dissociano musicalmente (la narrazione precipitata di Jaufré e il canto estatico di Clémence divengono estreme), quasi a mostrare l'impossibile incontro di questi due esseri anelanti, l'impossibile confronto tra le loro aspirazioni "lontane" e la realtà. Dopo la morte del trovatore, la passione di Clémence, purificata dalla sofferenza e più tardi dalla morte del poeta, si cangia in Amore sacro, ossia in un nuovo "Amour de loin". Tale spettacolo è una genuina creazione contemporanea, in cui artisti di talento si sono uniti realizzando un'osmosi sottile tra testo, musica, messinscena e apparato scenografico. Il risultato è quello di un Poema scenico, musicale e visivo, in cui i tre cantanti hanno profuso un impegno totale, fatto di viva convinzione e di una profonda sensibilità. Incantato ed entusiasta, il pubblico ha spontaneamente ed unanimemente paragonato questa originale e persuasiva opera prima della finnica Saariaho al debussyano "Pelleas et Melisande" di cui sembra raccogliere non poche assonanze.
Note: Commissionata dal Théâtre du Châtelet e dal Festival di Salisburgo. Nuova produzione del Théâtre du Châtelet in coproduzione col Festival di Santa Fé
Interpreti: Upshaw, Paasikivi, Finley
Regia: Peter Sellars
Scene: George Tsypin
Costumi: Martin Paklenidaz
Orchestra: Orchestre de Paris
Direttore: Kent Nagano
Coro: Choeur Accentus
Maestro Coro: Laurence Equilbey