Era dal 1932 che una delle opere più significative del repertorio francese non veniva eseguita sulla scena dell’Opéra de Paris. “Guillaume Tell” torna sul palcoscenico, ovviamente in una sala diversa da quella per cui fu composto da Rossini proprio qui a Parigi nel 1829: questa volta il grande affresco storico di sapore svizzero invade l’immensa Bastille. E l’opera rossiniana torna alleggerita: questa versione dura meno di tre ore, ciò significa che un buon terzo della musica originale è stata amputata. Grossolanamente, né l’edizione critica di Beth Bartlet né il colossale lavoro che la musicologa canadese ha compiuto nel corso degli anni intorno all’ultima opera di Rossini sono menzionati nel programma di sala: segno di scortesia o di incompetenza? Il parere della Bartlet sarebbe stato per altro utile per stabilire i tagli necessari alla rappresentazione scenica perché, a parte le scene abituali (come quella della cappella), non si è esitato a sforbiciare cori e balletti, errore imperdonabile perché sicuramente si tratta delle pagine migliori della partitura di Rossini.
Ma il pubblico ha comunque apprezzato: l’orchestra, diretta da Bruno Campanella habitué di Bastille, è apparsa in grande forma specie per i passaggi solistici. Purtroppo satura rapidamente nei “tutti”, ma questo è soprattutto da addebitare alla non felice acustica del teatro che non rende giustizia alle finezze dell’orchestrazione di Rossini. Senza dubbio a causa del volume sonoro dell’accompagnamento, molti cantanti sono in difficoltà nel registro grave; la voce, pur enorme, d’Alain Vernhes sembra poco a suo agio nel ruolo del vecchio Melcthal, Hampson non riesce a fare risuonare che la parte acuta del suo ruolo, Jeffrey Wells (Gesler) è appena percettibile. Si devono notare le prestazioni eccellenti di Nora Gubish (Hedwige), de Gaëlle le Roy (Jemmy), de Toby Spence (il pescatore) e di Wojtek Smilek (Walter) nei ruoli secondari. Hasmik Papian offre una commuovente Mathilde e i suoi accenti, sprovvisti ancora di una buona pronuncia del francese, ci ricordano la sua Elisabeth nel “Don Carlos” di Verdi. Ben altra è la prestazione di Marcello Giordani che riesce, in un colpo solo, a farci dimenticare il suo Gualtiero poco convincente nel “Pirata” dello scorso anno e soprattutto l’Arnold di Chris Merritt. Contrariamente a quest’ultimo, Giordani ha veramente i mezzi vocali del ruolo e la sua interpretazione, benché forse un po’ debole in finezza, si è rivelata di una forza e di un impegno drammatico di grande impatto. Ha ricevuto le ovazioni del pubblico che attende ormai molto da lui per il suo Henri nelle “Vêpres siciliennes” tra poco meno di due mesi. Il maggiore merito della produzione resta la realizzazione scenica e in particolare la qualità dei “décors” di Peter Davison, e i costumi di Marie-Jeanne Lecca: scelte raffinate che lasciano alle spalle la tristezza di certi fondali grigi di cui l’Opéra ha fin troppo abusato. La Svizzera è dipinta secondo le tinte pastello del bosco verdeggiante e delle montagne innevate i cui colori variano in funzione della luce del giorno e dell’oscillazione metereologica del cielo. Non ci si sarebbe potuto augurare meglio per la singolare rivoluzione “virtuosa” che Schiller ha voluto dipingere nella sua tragedia del 1804, fonte del libretto del “Guillaume Tell” di Rossini. Uno spettacolo raffinato alla riscoperta di un repertorio poco rappresentato.
Interpreti: Hasmik Papian, Mathilde; Gaële Le Roi, Jemmy; Nora Gubisch, Hedwige; Marcello Giordani, Arnold; Toby Spence, un pescatore; Janez Lotric, Rodolphe; Thomas Hampson, Guillaume Tell; Wojtek Smilek, Walter; Alain Vernhes, Melchtal; Jeffrey Wells, Gesler; Gregory Reinhart, Leuthold; Vincent Menez, un cacciatore
Regia: Francesca Zambello
Scene: Peter Davison
Costumi: Marie-Jeanne Lecca
Coreografo: Blanca Li
Orchestra: Orchestra dell'Opéra national de Paris
Direttore: Bruno Campanella
Coro: Cori dell'Opéra national de Paris
Maestro Coro: Peter Burian