Greenwood (e Penderecki) postmoderni

Il concerto del chitarrista dei Radiohead ad Arco di Trento

Recensione
classica
Jonny Greenwood è chitarrista dei Radiohead, la band che più di ogni altra negli ultimi vent'anni ha saputo innovare l'estetica del rock. È un musicista curioso e intelligente, attento a ciò che accade nel mondo della musica a 360 gradi. Nonostante gli impegni con i Radiohead trova il tempo per presentarsi in veste di esecutore in numerosi festival in giro per l'Europa.
Suona tra le altre cose Electric Counterpoint di Steve Reich, compositore che molto ha influito sugli sviluppi di tante musiche degli ultimi decenni. Reich in qualche modo ripaga l’attenzione dedicando un suo recente lavoro alla band inglese, rivisitando due loro brani. Un paio di anni fa Greenwood incontra Penderecki in un festival polacco e rimane affascinato da Threnodia per le vittime di Hiroshima, notissima composizione del 1961, partitura esemplare di quell’epoca, manifesto di quella tensione sperimentale che portò i compositori a inventare nuovi modi di suonare gli strumenti alla ricerca di nuove sonorità. La notazione stessa viene rivoluzionata e si presenta con un forte connotato grafico, anche se la composizione rimane legata a un elaborato contrappunto. Insomma siamo in pieno nel clima della cosiddetta avanguardia. Il titolo viene attribuito solo a opera conclusa, anzi sostituisce il precedente 8’37” e nell’opinione di Alex Ross la scelta di un riferimento così impegnativo dal punto di vista etico e politico è dovuta a un suggerimento della burocrazia del partito. Questo per dire che la tensione sperimentale che attraversa la partitura rimane pur sempre un fatto interno alla composizione, e solo altre intenzioni e motivazioni spostano l’accento sull’engagement.

Greenwood riprende organico (52 archi) e atteggiamenti strumentali della Trenodia per realizzare una pagina assai meno rigorosa dell’originale ma decisamente funzionale e gradevole all’ascolto (Popcorn Superhet Receiver). A distanza di mezzo secolo anche le tecniche più innovative risultano assimilate e utilizzabili come qualsiasi elemento che la storia della musica ci ha consegnato. Siamo in pieno clima postmoderno, o forse viviamo nella vivida luce di un’epoca che non può che riflettersi nel manierismo, inteso, per dirla con ABO, come «l’esser fuori di un linguaggio che sa, con coscienza infelice, di non poter parlare altro che di se stesso. Un linguaggio che si pone come doppio e specchio della realtà, già di per se dissestata, ambigua. Un linguaggio i cui codici sono quelli dello stile o della follia, costituiti e tutti rivolti al significante più che al significato: di fronte al ricatto dei contenuti non può che rispondere col sogno, l’autoinganno, l’ironia».

Ad Arco, per la rassegna Contemporanea, si è ascoltata la prima italiana del concerto "Penderecki-Greenwood". Convincente l’esecuzione dell’orchestra polacca AUSKO, diretta dallo stesso Penderecki e da Marek Mos, perfettamente a suo agio nello scandire le pagine di Greenwood con vigore e precisione.

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