Gli specchi di Svoboda per Macbeth
Trieste: regia di Brockhaus
A dieci anni dalla prima dell’allestimento co-prodotto dal Teatro di Trieste e dalla Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, il Macbeth verdiano torna al Teatro Verdi di Trieste in una versione che nasce da una commistione tra l’edizione originale del 1847 e la seconda elaborata per Parigi nel 1865. La regia, firmata da Henning Brockhaus, mantiene intatto tutto il suo fascino, immergendo l’ascoltatore in un’esplorazione della psicopatia che caratterizza non solo i protagonisti del dramma shakespeariano ma, in modo latente, tutti noi. Lo si capisce quando sul palco cala un pannello a specchio che riflette diagonalmente sulla scena una parte del teatro. Il celebre regista tedesco esalta la dimensione notturna dei personaggi, regno dell’inconscio e dell’intuizione visionaria di cui le streghe sono un’incarnazione. Emergono così le fratture psichiche di Macbeth e della moglie, le oscure morbosità di potere generate da un profondo vuoto affettivo.Poco per volta le personalità di Macbeth e della moglie si sgretolano, vittime della loro stessa malvagità, e i pannelli scenici essenziali ideati da Josef Svoboda, suggestivamente illuminati, si rivelano essere una proiezione dei turbamenti che travolgono i coniugi assassini. Giovanni Meoni restituisce con grande duttilità vocale il profilo interiore di un Macbeth fragile, oscillante, vittima delle manipolazioni della moglie. Sempre più perverso nell’ascesa al potere, rivela al tempo stesso un’anima scissa dal senso di colpa, tormentata dall’ossessione del passato e del futuro, preda di visioni mostruose e schiaccianti. Un essere straordinario, per certi versi, capace di evocare e dialogare con creature demoniache come le streghe che parlano attraverso simboli e predizioni. Analogo dualismo pervade Lady Macbeth, interpretata dal carismatico soprano veneziano Silvia Dalla Benetta. La sua personalità inizialmente forte e prorompente, divorata dalla sete di dominio, un po’ alla volta si incrina, cedendo al peso della colpa che la precipita nelle allucinazioni sonnamboliche e nell’autosoppressione.Intensa in entrambi gli interpreti la cura dei declamati e l’attenzione ai diversi tipi di emissione vocale sia nelle parti cantate che in quelle recitate; particolarmente evocativi i sussurrati che lasciano intravvedere le sfumature più rarefatte e indicibili dell’anima.Il coro, preparato da Paolo Longo, viene valorizzato come autentico protagonista del dramma verdiano. Convince sia nelle fantasmagorie delle streghe, segreto motore drammatico dell’opera, ben evidenziato anche dalle scelte coreografiche curate da Valentina Escobar, sia nelle dolorose meditazioni collettive, invocanti giustizia e restaurazione di un perduto senso morale. Nulla sembra infatti salvarsi in questo illusorio regno delle apparenze, ove tutto si dissolve e appare inafferrabile come un ologramma cangiante, talvolta ingoiato magicamente dallo sfondo. La luce del bene però alla fine si impone grazie al coraggio dei personaggi positivi.A Banco dona verità umana la pastosa voce di Dario Russo; Antonio Poli in Macduff si distingue per limpidezza e finezza del colore mentre Gianluca Sorrentino in Malcolm sfodera potenza e vigore.Filippo Maria Carminati sorregge con sicurezza e sotto la sua guida l’orchestra acquista in trasparenza, snellezza, ampiezza dinamica ed energia.
Teatro al completo, caldo successo, con molti applausi a scena aperta.
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