Gli esami (in Conservatorio) non finiscono mai
Comica finale o momento della verità?
Recensione
classica
Il Conservatorio italiano vive una delle sue fasi più delicate, e più critiche. Al punto che c’è chi ritiene che gli ultimi sviluppi (soppressione dei corsi inferiori, che saranno affidati a scuole medie e licei a indirizzo musicale) suonino come un de profundis. Troppo spesso il Conservatorio ha sacrificato ad altre finalità la formazione – artistica e professionale – degli studenti. E oggi, con i bienni di specializzazione, pieni di materie spuntate come funghi e insegnate da esperti dell’argomento, germogliati d’incanto anche loro, siamo al redde rationem. O alla comica finale. Entrambi ampiamente prevedibili, e dunque non del tutto immeritati.
Ma la cosa più divertente – perchè il lato divertente va trovato – è il “momento della verità”, che nei Conservatori è rappresentato dagli esami. Nei quali, inutile negarlo, si verificano episodi surreali, si materializzano meravigliosi paradossi. I dieci e le menzioni speciali, soppiantati progressivamente dai più “universitari” trenta e centodieci (sempre con lode, ovvio), non sono la segnalazione di un talento fuori dagli schemi, ma la certificazione dell’autorevolezza dell’insegnante. Autorevolezza che non ha più da dimostrarsi sul campo che sarebbe di sua pertinenza, ma piuttosto in quello del potere (che non sempre coincide con la qualità né con l’onesta intellettuale). In questi anni ho visto di tutto. Un esame di diploma pianistico di virtuosità nel quale il laureando ha fatto accomodare dei suonatori di bongo, che lo avrebbero accompagnato in un repertorio afrocubano. Un altro, in forma di lezione-concerto, verteva sulla produzione cameristica di un oscuro compositore locale, salvo concludere che – di cameristico – il poveretto non aveva composto nulla; da far impallidire Ionesco. Oppure esecuzioni di qualità ordinaria spacciate per rivelazioni di folgoranti talenti naturali. Per contro, prove brillanti penalizzate da commissioni improvvisamente molto severe. E le prove di cultura? Valga quella di uno studente di ottavo corso di pianoforte. Domanda: “Quante Sonate ha scritto Beethoven?” Risposta: “Tre Volumi”. Il docente ribatte, ironico: “Mah, veramente io ne possiedo solo due”, e l’alunno, solerte: “Guardi, non si perda il terzo, è bellissimo!”.
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