Giuseppe Chiari: la musica è facile

Presso la Galleria Frittelli di Firenze per TRK. Sound club, progetto di Tempo Reale, un bell'omaggio al compositore fiorentino nel decennale dalla morte

Giuseppe Chiari, Tempo Reale
Recensione
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Galleria Frittelli, Firenze
TRK. Sound club - Evento Chiari
24 Gennaio 2018

Tempo Reale a Firenze omaggia Giuseppe Chiari con il primo appuntamento della rassegna TRK. Sound Club.

John Cage esortava: «Aprite gli occhi e le orecchie ogni giorno». Il movimento Fluxus, covo della sovversione artistica e musicale, scriveva su cartelli “No more art, Demolish culture”. Negli essenziali spazi bianchi della Galleria Frittelli, tra partiture tradizionali sporcate da colori, partiture grafiche e descrittive di azioni da compiere, pianoforti deformati, declamazioni appese e coinvolgenti istallazioni, non si può non tirare un filo rosso ideale tra le opere di Giuseppe Chiari (Firenze 1926-2007) e tutte quelle realtà delle neo-avanguardie che dagli anni Sessanta tra Stati Uniti ed Europa agivano per un superamento della condizione aulica dell’arte a favore di una sua funzione immersa nella realtà.

Qualsiasi cosa può generare un’azione creativa, l’arte deve uscire dai suoi canali istituzionali, da inquadramenti e separazioni disciplinari, si deve aprire ai gesti quotidiani, alla percezione emotiva dell’esistenza.

Non a caso Chiari è tra i pochi artisti italiani assimilati al movimento Fluxus. Ce l’ha ben spiegato la storica dell’arte contemporanea Federica Boràgina nel proprio intervento “Tentare un gesto”, nelle brevi conferenze introduttive all’evento, ricordando che l’artista fiorentino ne ha disegnata una traccia tutta italiana, caratterizzando l’aspetto gestuale. E di gestuale c’è molto in Pezzo per foglio, opera del 1964. La pianista Chiara Saccone ha di fronte a sé un semplicissimo strumento: un comune foglio di carta, bianco e spiegazzato. La partitura, se così vogliamo chiamarla, è precisa, quasi maniacale. Chiari guida l’esecutore con: «Il rapporto fra la mano e il foglio è come il rapporto fra il ramo e la foglia», per poi indicare con precisione tutta una serie di movimenti tra silenzi lunghi, anche lunghissimi: «poggiare il pugno chiuso sul foglio. A contatto colle seconde falangi, senza far rumore», e più avanti: «il fianco della mano struscia, trascinandosi, sul foglio, mano totalmente inerte: braccio rigido. Movimento solo del corpo». 

Chiari - Firenze

Insomma tutto è programmato, ma è anche evidente che l’interprete(?) dispone di una notevole libertà di gestione all’interno del pezzo. La Saccone è credibile, coerente, concentrata, non scontato in una performance a dir poco insidiosa. Ma un problema c’è – ed è quello che non ti aspetti per un evento curato da tempo Reale: il suono. I due microfoni direzionati sul piano d’azione non intercettano e rilanciano nello spazio le mutazioni sonore della mano-carta, in un'ambientazione quasi acustica tutto risulta appiattito, rimane la gestualità. Peccato.

Le indicazioni di Chiari per La Luce (1966) sono intermittenti, claustrofobiche, un susseguirsi meccanico di silenzio/buio, rumore/buio, silenzio/luce, rumore/luce che si chiude nell’ultima riga con La luce. Bravo Francesco Pellegrino a tradurle in uno scenario visionario sia sul piano sonoro che visivo. Una serie di portalampade dislocate strategicamente si illuminano alternativamente, con tempistiche diverse attraverso un secco impulso sonoro. La regia di queste variazioni è molto coinvolgente, le trasformano in una sinfonia di luci. Lo sfondo sonoro che appare e scompare ci è regalato da un commovente Revox a bobine anni Settanta. Uno sfondo quasi immobile, cupo e denso che sfuma e poi torna tra i silenzi e la sinfonia di luci. Una convincente e magica messa in scena su una fin troppo sintetica indicazione operativa dell’autore.

Al di là dell’aspetto commemorativo, rivivere oggi gli ambienti delle avanguardie del secondo dopoguerra, scoprire che non risultano poi così usurati, ma capaci ancora di suscitare, nei tempi della rete, sussulti e pensiero con i loro suoni, azioni, provocazioni, contraddizioni e happening, vedere una sala piena, soprattutto di giovani, in una galleria d’arte contemporanea nella periferia della città, sfiora l’utopia realizzata.

Chiari affascina ancora nella sua ricerca ludica, futurista, che muove dal Dadaismo e Surrealismo, fondamentalmente perché esprime una profonda esigenza di libertà d’espressione, ma non gli basta quella data, punta oltre senza limiti. «L’arte è facile, la musica è facile» non suona allora come una posizione banalizzante, quanto una parola d’ordine che prefigura un nuovo umanesimo non competitivo dove pensiero e azione si fondano su tolleranza, comunicazione e confronto.

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