Firenze contemporanea

I concerti di Tempo Reale

Recensione
classica
Nel ‘53 Luciano Berio – fondatore del Centro di ricerca e sperimentazione Tempo Reale – scriveva «…il musicista di domani potrà anche vestire la tuta dell’esperto elettrotecnico, pur che non schivi il problema vero di fare "musica necessaria”». Non sappiamo se Tempo Reale faccia musica necessaria. Di sicuro possiamo dire che il suo festival 2014, giunto alla settima edizione, recitando come tematica “Geografie. Riascoltare il mondo”, con l’ambizione di far dialogare tra loro suoni e musiche di culture diverse, si muove in linea ideale con il Berio pensiero. Se “Sound & Bike”, percorso-installazione tra il verde del Parco delle Cascine, con i suoi punti di ascolto musicale (Italia, Senegal, Cuba, Africa, India, Cina, Sri Lanka) ne rappresenta momento ludico di più diretta lettura tra le pieghe del ventaglio di proposte alla Limonaia di Villa Strozzi si possono scovare non pochi stimoli. L’atteso Jacob TV con le sue opere visual art Pimpin’ e Grab it! racconta storie attraverso una grana sporca, ripetizioni, sfalsamenti tra suono ed immagini, effetti negativo, ritmi asfissianti. La prima mischia dialoghi tra protettori e prostitute americane. Personaggi che appaiono, scompaiano, si sdoppiano in un caos visivo sonoro. Il clarinetto basso di Paolo Ravagli, preziosa guida live di tutta la serata, si incastra con abilità tra spazi che paiono inaccessibili, a volte si sovrappone al magma rap. Grab it! è più coinvolgente sul piano emozionale. Immagini urbane, periferie degradate, ghetti. Soprattutto volti, primi piani ritmicamente ripetuti che trasmettono disagi ma contemporaneamente voglia di vivere. Estraniante la scena nel carcere dove la meccanica riproposizione della sequenza dei condannati a morte che escono dalle celle si tramuta in un assurdo balletto. Qui il clarinetto basso ha un ruolo più netto, entra nel vivo incandescente del video.

Quanti e Birdwhatching di Luigi Ceccarelli sviluppano percorsi diversi. Il primo è pura ricerca. Il clarinetto di Ravagli dialoga con nastro magnetico di preregistrati suoni di clarinetto poi campionati ed elaborati. Prende vita una polifonia fascinosa, il live si confonde con il registrato, i silenzi agiscono da spazi per riprendere fiato. Il secondo è omaggio alla natura: sorprendente video dove uccelli variopinti svolazzano in un montaggio ritmico, i canti si amalgamano con il clarinetto basso dal vivo che raddoppia la traccia preregistrata. Dopo un improvviso silenzio tutto riprende ma con dettagli inquietanti. Uccelli, suoni e natura si deformano, la bellezza trasfigura. Uprising per clarinetto contrabbasso ed elettronica dal vivo è dedicato da Alessandro Ratoci proprio al talentuoso performer della serata. Le vibrazioni misteriose, gli armonici di uno strumento scintillante e poco frequentato, rimbalzano sul pulsante tappeto dal sapore techno dell’elettronica. Ad un certo punto del disordine sonoro si apre uno spazio luminoso che sfiora seducente lirismo per poi ripiombare nel magma dove si gioca la sfida impari tra acustica ed elettronica.

La serata “Io viaggio da solo-Giovane musica elettronica dal vivo” è una vetrina aperta a musicisti elettroacustici selezionati attraverso un bando pubblico. Cinque opere che, oltre che confrontarsi con la tematica del festival, dovrebbero farci capire in quale direzione si muove la ricerca. La risposta non poteva che essere contraddittoria: dipendenze, lampi creativi, qualche sbadiglio. Rien, rien d’autre di Giovanni Caccavale muove masse sonore che roteano sature. Una poetica voce misteriosa emerge, poche parole poi la potenza di una traccia sinfonica scalda passioni. Rigore estetico trasmette il breve I Sette Messaggeri di Lorenzo Pezzella. Con l’i-pad il compositore offre in tempo reale l’idea di composizione aperta, modificabile, viaggio disseminato di elementi ritmici che non sai dove ti porterà. Strati di Alessandro Ragazzo lascia perplessi nella sua linea piatta, senza climax: dietro un pulviscolo freddo di suoni si odono voci indefinibili, gli spostamenti nel paesaggio sono minimi, impercettibili. Il laptop di Massimo Varchione e il clarinetto di Agostino Napolitano in In ascolto suscitano qualche deja vu. Lo strumentista che suonando arriva dall’ambiente esterno non è proprio un’idea freschissima. Sul fronte sonoro: armonici, soffi, slap, chiavi che vibrano, suoni lunghi su un tappeto sintetico mobile che cresce ma non trova agganci coinvolgenti. Se avesse senso stilare classifiche Riccardo Castagnola con il suo Streams of extemporary (un)consciousness sarebbe da segnalare come il più coerente con il tema della serata. La sua una vera performance visiva. A torso nudo (per marcare la lontananza tra corpo e macchina?) sviluppa suoni ancestrali, percussioni come primi strumenti della comunicazione umana in una rocambolesca gestualità circense. Nel finale tra le sue mani le macchine diventano malleabili giocattoli multicolori. Che tipo Francisco Lopez. Consiglia agli spettatori che gli danno le spalle, rivolti verso l’esterno in cerchi concentrici, di bendarsi con le strisce di stoffa che sono sulle sedie per entrare meglio nel suo viaggio Virtual Geosonography. Lui se ne sta al centro nel buio manipolando marchingegni coperti fino all’ultimo momento da un misterioso panno nero. Performance immersiva dove l’artista spagnolo elabora dal vivo miriadi di sorgenti acustiche accumulate in giro per il mondo, diffuse nello spazio da un sistema audio multicanale che garantisce vera immersione nel suono. Ma il viaggio dura poco rispetto ai quasi cinquanta minuti totali. I primi minuti emozionano, vieni come rapito da un vento, un sibilo che viene da lontano, poi ti avvolge e pare spostarti con tutta la sedia. Nuclei ritmici si accumulano, il gioco dei volumi tra pianissimo e fortissimo disorienta. Con il passare del tempo però tutti questi quadri si ripetono in una meccanicità che toglie progressivamente il gusto della sorpresa, evidenzia l’assenza di un coerente sviluppo drammaturgico. La sedia non si muove più.

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