Fidelio tra le bandiere rosse
Scala: tripudio per Barenboim alla serata inaugurale
Recensione
classica
Due le infedeltà in questa bella edizione di Fidelio che ha inaugurato la stagione scaligera. La sostituzione dell'ouverture con la Leonore n. 2 perché anticipa quanto viene poi sviluppato nell'opera. L'altra, per scelta della regista Deborah Warner, l'aver affidato la liberazione dei prigionieri a un gruppo di rivoltosi con tanto di bastoni e sventolio di drappi rossi. Il che nobilita don Pizarro da funzionario infedele qual era e declassifica il ministro don Fernando. Terzo strappo alle regole, un 7 dicembre senza fischi e senza buu. Anzi con applausi insistiti per Barenboim ancor prima dell'attacco, meritatissimi, ma un poco fuori misura, che hanno lasciato il sospetto della claque organizzata per la sua ultima apparizione sul podio come direttore musicale.
Quanto all'esecuzione, Barenboim e l'orchestra hanno nuovamente dato prova di una perfetta intesa; tempi lenti all'inizio e pianissimi al limite della percezione che hanno servito per contrasto a sottolineare le maestose esplosioni dell'organico, sempre compatto, sempre con grande capacità analitica. Su tutto il cast primeggia la protagonista Anja Kampe, per voce e presenza scenica, merita davvero di entrare nella rosa delle grandi Leonore. Klaus Florian Vogt (Florestan) è un Heldentenor dalla voce chiara, poco partecipe della sofferenza, è controllatissimo ma rimane sempre un tenore che sta superando brillantemente la prova. Bravi tutti gli altri, Kwangchul Youn (Rocco), Mojca Erdmann (un'avvenente Marzelline), Florian Hoffmann (Jaquino), Peter Mattei (don Fernando), mentre Falk Struckmann (Pizarro) è apparso di perfidia troppo uniforme, tanto che brucia l'effetto di pronunciare tre volte il proprio nome a firma della vendetta. Di grandi effetti Barenboim ha invece dato prova, nell'ouverture ha piazzato la tromba che dà in segnale della liberazione in loggione e ha voluto le luci in sala all'inizio del secondo atto, il più bel pezzo sinfonico dell'opera, che sono scese lentamente come per accompagnare il pubblico nel buio della prigione.
La trasposizione della vicenda in un odierno non-luogo di detenzione è risultata funzionale all'idea di Deborah Warner di denunciare i soprusi che ancora avvvengono nei nostri giorni, con però qualche stridore, come quando per esempio piazza i due protagonisti ricongiunti uno di qua e l'altro di là. Hai ben cantare "finalmente ti stringo al petto"!
Quindici minuti di applausi e di nuovo grandi riconoscimenti a Barenboim.
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