Fidelio o del desiderio
Al Regio di Torino in una nuova produzione diretta da Mario Martone
Recensione
classica
Ma che bel Fidelio è andato in scena l'altra sera al Regio di Torino. Musica diretta con fuoco e concentrazione da Gianandrea Noseda, una compagnia di alto livello, coesa e omogenea, con tutte le prime parti (Ricarda Merbeth, Ian Storey, Lucio Gallo, Franz Hawlata, Talia Or, Alexander Kaimbacher) meritevoli di applauso. E uno spettacolo di rara efficacia, sobrio e ricco insieme, che mette a fuoco con precisione la drammaturgia beethoveniana, così lontana da noi e facilmente travisabile, per questioni di gusto, di stile, di tempi molto cambiati.
Nel carcere fondo e buio, massimo esercizio del predominio dell’uomo sull’uomo, che soffoca e spegne ogni scintilla di umanità, non c’è spazio plausibile per la speranza. Ma Florestano, nella cella in cui a stento sopravvive, è in pace, perché ha tenuto fede alla sua coscienza e il fatto di morire, dopo tutto, è come realizzare finalmente l’anelito ideale che ha dominato tutta la sua vita. È la passione, intesa nella doppia accezione di desiderio potente e di via costellata di prove crudeli, una delle chiavi importanti dell’opera. Leonore brucia per la necessità interiore di portare amore (e conforto, termine che ricorre più volte nelle sue parole, versione coniugale della compassione cristiana) allo sposo imprigionato. Pizarro arde di odio così travolgente e inarticolato da non riuscire neanche a palesare il delitto di cui la sua vittima si sarebbe macchiata. Persino i personaggi minori sono preda di grandi sentimenti e proiezioni, ciascuno secondo le sue possibilità: Marzelline intravede nel giovane Fidelio qualcosa di più alto, la possibilità di un’intesa profonda, Jaquino desidera la bella ragazza della bocca ridente, e Rocco vorrebbe tanto vedere la figlia sistemata e felice. La lettura di Mario Martone costruisce per ogni personaggio una rete di gesti, piani, movimenti di straordinaria naturalezza e pregnanza, disegna gli spazi con l’oscurità grumosa dei recessi del carcere, con la luce calda della lampada che illumina l’interno borghese della baracchetta dei guardiani, con lo sfolgorio della catarsi finale, e insomma in ogni dettaglio va dritta al cuore dell’idea. E l’opera rivive anche per noi cinici abitanti del ventunesimo secolo, a ulteriore dimostrazione, mai ce ne fosse bisogno, che se la visione originaria del compositore è forte abbastanza, se la cava da sola a teatro senza bisogno di rammodernamenti, dettagli posticci o forzature di mano.
Interpreti: Ricarda Merbeth, Ian Storey, Lucio Gallo, Franz Hawlata, Talia Or, Alexander Kaimbacher, Robert Holze, Matthew Pena
Regia: Mario Martone
Scene: Sergio Tramonti
Costumi: Ursula Patzak
Orchestra: Orchestra del Teatro Regio
Direttore: Gianandrea Noseda
Coro: Coro del Teatro Regio
Maestro Coro: Claudio Fenoglio
Luci: Nicolas Bovey
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