Fedora al Bellini di Catania che vuole vivere
L'opera di Giordano si conclude con un messaggio per il futuro dell'istituzione
Fedora, già avvelenatasi, abbandona la scena – che alcuni figuranti hanno in parte smontato a vista – muovendosi verso il fondo, mentre quinte e fondale si alzano a mostrare il palcoscenico nudo; scende un cartellone con la scritta “Non facciamola morire”, coristi e maestranze entrano in scena in abito ordinario avanzando verso il proscenio. Non una rilettura registica dell’opera, l’epilogo congegnato da Salvo Piro per questa Fedora al Teatro Massimo Bellini, ma una denuncia del più che precario stato di cose (l’ennesimo, negli ultimi anni) per l’istituzione operistica catanese, stretta tra debiti pregressi e tagli della sovvenzione regionale – nel bilancio, quella più consistente e in grado di far sostenere un’attività lirico-sinfonica annuale al Teatro – sicché le risorse per le produzioni sono drammaticamente esigue, e neppure la programmazione per gli anni futuri sembra tecnicamente impostabile.
In questo quadro, che il dissesto del Comune di Catania ha semplicemente reso più plastico senza di fatto aggravarlo, i vertici del Teatro hanno fatto e fanno quel che possono, mantenendo almeno uno standard più che dignitoso da teatro di tradizione in senso stretto: nella replica visionata, il cast del lavoro di Giordano è risultato nei ruoli principali assai convincente, a partire dall’elegante Fedora di Elena Rossi, espressiva e insieme controllata nel fraseggio senza mai sofisticarlo o senza calcare la mano sul piano vocale, risultando tuttavia encomiabilmente pastosa nel registro medio-grave. Ottimi il Loris di Ragaa Eldin, timbro scolpito, emissione sicura e ben proiettata, fraseggio proteso, e la Olga di Anastasia Bartoli, vocalmente assai solida, musicalmente fluida, e ben caratterizzante il personaggio anche sul piano scenico. Positiva pure la prova di Ionit Pascu quale De Sirieux simmetrico – nella misura dell’interpretazione – a Fedora, ma in grado di sostenere il confronto con la spigliatissima Olga entro i due soli del secondo atto. Sul palco si sarebbero dovute vedere le scene di uno storico allestimento di Lamberto Puggelli ripreso da Piro (che è stato a lungo suo assistente), ma le difficoltà del Teatro hanno costretto a ripiegare su altro set, occhieggiante all’art nouveau di Mucha, nel quale il regista ha calato al meglio della professionalità possibile le azioni, senza riuscire a evitare un paio di disfunzioni temporali.
L’orchestra ha suonato con molta – qua e là troppa, per l’equilibrio con le voci – generosità, spronata in tal senso dalla direzione di Gennaro Cappabianca. Il pubblico ha apprezzato la rappresentazione, anche nel messaggio finale, sostenendo la troupe con un generoso applauso.
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