Sono da tempo note le esecuzioni estemporanee di Isabelle Faust e Mario Brunello sulle rocce delle Dolomiti, per la gioia degli escursionisti increduli; ma per la prima volta hanno suonato ieri insieme in una sala da concerto, ospiti del Bologna Festival. Il repertorio per violino e violoncello senza alcuna orchestra o tastiera di sostegno non è ampio; così, dopo una Suite bachiana per lui, una Sonata bachiana per lei, è ancora Bach a venire in soccorso, con le Invenzioni a due voci per tastiera (quelle attraverso le quali passano tutti i pianisti in erba) adattate facilmente alle voci dei due strumenti ad arco. Due voci, invero, diversissime; non solo per la reale differenza fisica fra gli strumenti, ma per il modo di suonarli che i due artisti attivano: volitiva lei, producendo un suono brillante, quasi tagliente; meditativo lui, votato a un suono cupo, quasi roco. La differenza emerge non tanto nei duetti, dove le divergenze tendono ad appianarsi, quanto nei pezzi a solo, complice anche la scelta opposta che i due operano: una Sonata per Faust, con i suoi movimenti fatti di astratti Allegri, Adagi e Fughe; una Suite per Brunello, con la classica successione di danze. E qui sta il dubbio: quel suo approccio “meditativo”, senza rigore di tempo, ben si addice alla rapsodicità del Preludio, ma interferisce con la pretesa regolarità di ritmi di danza codificati. Non è questione di inegalitée barocca: il rubato, per definizione, è tipico del dipanarsi melodico su un accompagnamento ritmicamente rigoroso, e il ritmo di una Gavotta o di una Corrente deve restare un ritmo danzante ben riconoscibile, con i tempi forti cadenzati regolarmente, al di là della libertà melodica. Tutto si riassesta comunque nel Ravel conclusivo, dove i due interpreti possono sfoderare la loro carica emotiva per un finale travolgente.