Evocando Werther

"Werther" torna in scena all'Opéra di Lione. La regia di Willy Decker sceglie la via dell'evocazione, evitando i toni positivisti. Musicalmente questa produzione consacra il talento del giovane tenore Gwyn Hugues Jones. Buona anche la prestazione dell'orchestra stabile del teatro.

Recensione
classica
Opéra de Lyon Lione
Jules Massenet
16 Maggio 2003
E' noto che per i registi d'opera, l'ouverture è solo un lungo momento di attesa, nei confronti della quale spesso faticano a nascondere una certa irritazione. La tradizione voleva che mentre l'orchestra suonava la "sinfonia", la tenda restasse chiusa in attesa di aprirsi solo per la prima scena del primo atto. Ormai, la prassi è un'altra. I registi hanno finito per impossessarsi anche di questo spazio musicale, in cui i cantanti non dovrebbero comparire. Così è stato pure per questo "Werther". L'orchestra dell'Opéra di Lione suona a scena aperta con i due ruoli principali (Charlotte e Werther) già in palcoscenico. Ma, va riconosciuto al regista Willy Decker di non avere affatto dato l'impressione di una scelta forzata o gratuita. Per lui, l'ouverture è il momento in cui, come in una premonizione tragicissima, viene anticipato il suicidio dell'eroe eponimo. In fondo, anche musicalmente, la scelta è legittima: l'ouverture non è l'ultimo pezzo scritto dal compositore che ne approfitta per "anticipare" temi e situazioni? Decker sceglie, sempre, la carta dell'allusione. La sua non è certo una regia descrittiva, ma piuttosto evocativa. E adotta simboli forti: come il ritratto della madre di Charlotte, simbolo dell'oppressione di un passato che pesa constantemente sul presente e che, dunque, condiziona il futuro. Non a caso, il ritratto è sempre in scena: dal primo al quarto atto. Ma questo "Werther" marca soprattutto l'apoteosi del tenore Gwyn Hugues Jones: un vero prodigio di tecnica e di stile. Il suo è un Werther commuovente, mai volgare. Non abilissimo per la recitazione, il giovane tenore ha magnetizzato il pubblico, appoggiandosi sui soli (prodigiosi) mezzi musicali. Non si può dire altrettanto della francese Béatrice Uria-Monzon: abile attrice, donna affascinante, cantante dall'intonazione non sempre affidabile, gioca come può tutte le carte di cui dispone. E alla fine la sua resa della parte è abbastanza convincente, a dispetto di non enormi qualità vocali. L'orchestra conferma la sua fama, che attinge, in parte, ai fasti degli anni in cui John Eliot Gardiner era di casa. Anche sotto la bacchetta di Christian Badea, il risultato è di ottimo livello. Tanto più che la partitura di Massenet non raggiunge mai la finezza dell'orchestrazione di un Puccini. Uno spettacolo seducente per un'opera giustamente popolare.

Interpreti: Gwyn Hugues Jones, Werther; Béatrice Uria-Monzon, Charlotte; Philippe Georges, Albert; Hélène Le Corre, Sophie; Paul Gay, Le Bailli; Bruno Comparetti, Schmidt; Pierre-Yves Pruvot, Johann; Sophie Lou, Kätchen; Brian Bruce, Brühlmann

Regia: Willy Decker

Scene: Wolfgang-Louis Cabané

Costumi: Wolfgang-Louis Cabané

Orchestra: Orchestre dell'Opéra de Lyon

Direttore: Christian Badea

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