Esercizi di Regia
A Basilea torna in scena “Alcina” accanto al “Lucio Silla” che ha aperto la stagione
(questa la recensione on line per il gdm di Alessandro Mastropietro: www.giornaledellamusica.it/rol/?id=5603)
Se il “Silla” secondo Hans Neuenfels nel suo approccio decostruttivista segue stancamente i dettami di un crepuscolare “Regietheater”, che sembra ormai aver poco da dire (e trattandosi di uno degli esponenti più illustri di quella schiatta non potrebbe che essere così), l’“Alcina” allestita da Lydia Steier è uno spettacolo leggero e spigliato, di grande freschezza immaginativa. E nonostante la Steier, giovane regista e coreografa di origine statunitense, abbia mosso i primi passi in due dei templi della tradizione registica “made in Germany” contemporanea come la berlinese Komische Oper prima e quindi l’Opera di Stoccarda di Jossi Wieler e Sergio Morabito. Idea fissa nel “Lucio Silla” il sesso come motore dell’azione (il tiranno tiene addirittura un’enorme vagina devozionale su una sorta di altare ad usum privatum) ma virato in crudeltà e freddo, come ennesima variazione di un esercizio di potere. E lo sguardo di Neuenfels è distaccato, sprezzante quasi, come fanno pensare quelle didascalie proiettate beffarde, che commentano i passaggi disarticolati del nuovo montaggio. E il sesso è anche il motore dell’“Alcina” che però è giocoso e vitale nel primitivismo esotico dell’isola della maga Alcina, un delirio psichedelico da gran varietà di altri tempi con una primadonna, Alcina, con copricapi-fruttiera rubati a Carmen Miranda e un’appariscente soubrette-sirena in paillettes, Morgana. A quel mondo colorato si contrappone la grisaglia impiegatizia della normalizzatrice Bradamante in caccia col fidato Melisso dell’amato Ruggiero. Lo scenografo Flurin Borg Madsen e il costumista Gianluca Falaschi a briglia briglia sciolta nella fantasmagoria di un Sudamerica da gran varietá del regno di Alcina, fra grandi scogli mobili di cartapesta, scaloni con teorie di banane luminescenti e un esercito di schiavi zoomorfi con gonne di paglia e vistosi tatuaggi e cavigliere da indigeni pre-ispanici. La lotta è dura ma Bradamante la vince (ma non troppo) e riduce gli schiavi dei piaceri di Alcina alla schiavitù di impiegati dattilografi dietro a ordinatissime scrivanie nella burocratica fluorescenza dei tubi al neon. Alcina è sconfitta ma non si piega e abbandona la scena mentre si forma il tremendo trenino di Capodanno sul coro finale: “Dopo tante amare pene già proviam conforto all’alma; ogni mal si cangia in bene, ed alfin trionfa amor”. Ma quel conforto Ruggiero non lo prova e, abbarbicato sul suo scoglio, guarda lontano. Meno marcato forse, ma anche in questa “Alcina” il segno registico si coglie e si coglie anche una maggiore fiducia nella capacità di trarre da una drammaturgia vecchia di secoli una chiave ancora valida. Questione di metodo? Forse. Questione di personalità, anche, e specialmente di chi dovrebbe far valere le ragioni della musica. Si tratta pur sempre di teatro musicale, no? Su questo, pur riconoscendo a Erik Nielsen, direttore del “Lucio Silla” un’indubbia competenza e una certa forza drammatica unita a una linea elegante, verrebbe da chiedere se non sia un inutile ostacolo a una convcezione e quindi realizzazione musicale equilibrata una successione sconnessa di numeri musicali riorganizzati attorno a un teorema registico. E non si parla tanto di violare una sempre discutibile sacralità dell’integrità dell’opera di Mozart, quanto di rispettare un equilibrio drammaturgico nella successione dei numeri musicali concepiti dagli autori. Anche su questo versante l’“Alcina” può contare su un direttore esperto di opera barocca come Andrea Marcon, che quest’opera conosce benissimo e del suo valore è pugnacemente convinto. Presto la dirigerà anche al Bolshoi di Mosca per il battesimo in terra russa, nello stesso allestimento di Aix-en-Provence firmato da Katie Mitchell per il quale lo stesso Marcon ha firmato la parte musicale. Stacco di tempi fulminante, dinamiche sonore contrastatissime in funzione di un’estrema varietà di “affetti” che serve al meglio la sapienza teatrale del genio händeliano. A sua disposizione quello strumento duttile e musicalissimo che è l’Orchestra La Cetra, compagine formata in gran parte da ex allievi della Scuola di musica antica di Basilea, la Schola Cantorum Basiliensis, in cui lo stesso Marcon è docente. Il resto lo fa una compagine vocale giovane ma molto affiatata, che ha in Nicole Heaston una protagonista forse priva dell’aura della primadonna (quel ruolo è stato frequentato praticamente da tutte le star del canto barocco ed è quindi inevitabile il confronto) ma con un’apprezzabile linea di canto e buone capacità interpretative. Ruggiero è Vince Yi, voce dall’acuto facile ma un po’ debole nella proiezione e interpretazione un po’ fissa. Melissa è Bryony Dwyer, attrice consumata e abile nell’uso di uno strumento vocale piuttosto esile. Bradamante è una Katarina Bradic perfetta nel ruolo della femmina dominatrice. Completano la locandina l’Oronte di Nathan Haller, il Melisso di José Coca Loza, giovane basso da tener d’occhio, e il fanciullesco Oberto di Alice Borciani.
Alcina al Theater Basel –trailer
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