Don Carlos alla francese

Parigi: grande successo per il debutto di Marina Rebeka nel ruolo di Elisabetta

Don Carlos (Foto @ Franck Ferville / OnP)
Don Carlos (Foto @ Franck Ferville / OnP)
Recensione
classica
Opéra de Paris Bastille
Don Carlos
29 Marzo 2025 - 05 Aprile 2025

Non solo un cast tutto nuovo, ma sopratutto una ripresa che ha il merito di fare sentire tutta la prima versione parigina del 1866 del Don Carlos, quella delle prime prove quando il balletto non era stato ancora composto, compresi quei brani tagliati da Verdi già alla première per permettere al pubblico parigino di prendere gli ultimi mezzi per le periferie.  L’allestimento di Krzysztof Warlikowski, già contestato nel 2017, lo è stato di nuovo alla prima di quest’anno, anche se in misura minore, ma grandi applausi per gli interpreti, in particolare per il soprano Marina Rebeca al debutto nel ruolo di Elisabetta de Valois che con la sua voce tagliente come una lama ha dominato scena e orchestra. Sul podio, la direttrice australiana Simone Young, specialista di Richard Wagner e Richard Strauss, che si è sentita recentemente nello stesso teatro dirigere Parsifal e Salomé, ed era molto attesa adesso per la sua interpretazione di Verdi versione grand-opéra. Se da una parte la sua lettura è apparsa maestosa, regalando eleganza alle parti solo orchestrali, purtroppo peccando però di alcuni troppo forte, con alcuni strumenti solisti pure un po’ troppo vigorosi, dall’altra è sembrata in difficoltà a valorizzare le voci, e malgrado l’evidente attenzione ai cantanti, lo stesso si sono notati diversi scollamenti, già con la prima aria di Carlos, il tenore Charles Catronovo, dal bel timbro morbido e dall’interpretazione appassionata e curata. C’è da dire però che Castronovo, anche se non annunciato, non era in perfetta forma, e quindi anche per questo non si sentiva sempre sufficientemente. Nessun dubbio invece sulla prestazione del basso-baritono Christian Van Horn come re Filippo II, autorevole quanto assai dolente e commovente nel suo famoso “Elle ne m'aime pas !” (Ella giammai m'amò!) che ha strappato i “bravo” dalla sala. Invece qualche problema pure per il fedele amico del principe, Don Rodrigo,marchese di Posa, interpretato dal baritono polacco Andrzej Filończyk al debutto nel ruolo che è apparso un po’ ingoiato nei primi atti, ed infatti non ha entusiasmato come dovrebbe nei duetti con Carlos, a cominciare dal celebre “Dieu, tu semas dans nos âmes “ (Dio, che nell'alma infondere) con cui i due amici si rinnovano la promessa di fedeltà, ma è migliorato, con la voce più libera, nella parte finale dell’opera. La principessa Eboli è stata affidata al mezzosoprano russo  Ekaterina Gubanova che non si è certo avvantaggiata dal fatto che la sua famosa “canzone del velo” si svolge, nell’allestimento di Warlikowski, in una palestra dove si gioca la scherma non riuscendo a conferirle lo stesso fascino che nel contesto originario. Il Grande Inquisitore è interpretato dal basso ucraino Alexander Tsymbalyuk, non molto profondo, che con gli occhiali scuri e il vestito borghese sembra il capo dello spionaggio più che un vecchio frate cieco. Il problema della mesa in scena di Warlikowski è sopratutto che si allontana molto nel visuale dalla vicenda originale e chi non conosce già la storia ha difficoltà a capire quello che sta succedendo, tanto che delle scritte indicano dove ci si trova, altrimenti non si capirebbe. La macchina scenica è apparentemente semplice, spesso un oggetto dovrebbe bastare a suggerire tutta una situazione ma il gioco non è sempre riuscito. Scene e costumi sono di Małgorzata Szczęśniak, supportati dai video che riprendono primi piani dei protagonisti di Denis Guéguin e con le luci di Felice Ross. Il coro, istruito da Ching-Lien Wu, oscilla tra momenti di grande intensità e potenza, è il popolo che si fa sentire con forza, in particolare molto bene nel terzo atto, quello dell'autodafé, in “Spuntato ecco il dì d'esultanza” , in altri momenti invece i cori sembrano suggestivamente solo sussurrati. Un grande affresco che alla fine diventa un po’ monotono nella visione semplificata, attualizzata e poco intellegibile di Warlikowski, con la parte musicale che oscilla tra momenti ottimi ed altri deludenti, dal finale debole, non memorabile. 

 

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