Don Alfonso è il regista
Buona edizione di Così fan tutte alla Scala firmata da Guth, con Barenboim sul podio
Recensione
classica
Le intenzioni di Barenboim traspaiono fin dall'ouverture, imbocca subito la strada della grevità, della tensione drammatica, perdendo così buona parte della leggerezza e della gioiosità. Una scelta condotta magistralmente a termine, pur con qualche rischio di noia, che tuttavia non manca di regalare meraviglie nei momenti più attesi, come "Soave sia il vento" o "È nel tuo, nel mio bicchiere". Perfino i recitativi drammatici acquistano un peso inedito. Buono il cast, con Maria Bengtsson e Katija Dragojevic nei ruoli delle due ragazze, eleganti, con belle voci e qualche veniale difficoltà. Migliori le voci maschili, Rolando Villazón è un Ferrando accalorato e spiritoso (quasi un gatto in scena), come pure Adam Plachetka, mentre Michele Pertusi è un Don Alfonso elegante e distaccato. Monotona e non troppo brillante è la Despina di Serena Malfi, con però dei bei vestiti anni Cinquanta, come del resto è l'arredamento razionalista dell'appartamento con le due balconate. Non presente invece il coro; gli interventi sono trasmessi da quattro altoparlanti appesi sotto i primi palchi e lasciano immaginare che in quinta non ci siano né soldati né servi e si tratti di registrazioni.
Quanto alla regia, si son perse per strada le annunciate allusioni alle altre due opere Mozart-Da Ponte che Claus Guth aveva allestito a Salisburgo (questa edizione è ispirata alla sua Così fan tutte del festival) e la progressiva apertura del fondale alla natura, col giardino interno e poi con due pini in scena, rimane soltanto una fragile metafora dello scatenarsi delle passioni in quel luogo claustrofobico. È invece un segno forte e ben riuscito l'aver presentato Don Alfonso come un regista-mago, capace di bloccare con un gesto alcuni personaggi trasformandoli in belle statuine mentre gli altri proseguono l'azione. Il cinico demiurgo diventa talvolta anche in direttore d'orchestra dando gli attacchi. I due "albanesi" nascondono invece le loro sembianze con maschere etniche che li fanno apparire quasi dei diavolacci, che vantano inutilmente bei piedi e bei nasi perché hanno preventivamente bendato le ragazze. Tutto comunque funziona a dovere in scena, Guth ha grande padronanza dei movimenti e delle gestualità, anche se avrebbe fatto bene a limitare l'uso dei bicchieri, sia pieni sia ripetutamente vuotati, che oltre a essere banale finisce per ridurre la scommessa crudele in una gag di ubriaconi.
Applausi per tutti alla fine, coi soliti isolati buu gratuiti dal loggione, subito dimenticati nelle successive apparizioni degli interpreti. Prima fuori abbonamento, con qualche palco vuoto.
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